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Le macerie del nostro patrimonio, ridotto a eventi o sfondi per selfie

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La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter

di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti

Vorremmo dedicare la nostra ultima “domenica della vita” all’iniziativa che si svolge domenica 7 giugno al Museo nazionale di San Matteo. Alle 11 ci sarà infatti un incontro davanti all’unica tavola superstite in città del Polittico che Masaccio realizzò per la chiesa pisana di Santa Maria del Carmine: tra qualche giorno la tavola sarà costretta a lasciare la sua dimora per l’ennesima volta e spostarsi alla mostra Tesori d’Italia, inaugurata un paio di settimane fa al padiglione Eataly all’interno dell’Expo. Per dirla con l’ideatore Farinetti e il curatore Sgarbi, si vuol presentare la “biodiversità dell’arte” e lo si fa in una sorta di autogrill in cui le opere, divise per scuole artistiche regionali, sono ammassate in un anonimo capannone.

Viste le condizioni in cui sono qui esposti dipinti e sculture provenienti da chiese e musei nazionali, la Soprintendenza di Pisa ha provato a opporsi al prestito, sottolineando il fatto che il San Paolo di Masaccio è una delle opere principali del San Matteo e per questo è considerata inamovibile. Non solo, ma per concessione ministeriale tutti i visitatori dell’Expo, mostrando il biglietto della fiera milanese, hanno l’accesso gratuito al museo pisano, che per l’occasione ha voluto inaugurare un’installazione multimediale proprio sul Polittico del Carmine. In barba a tutto ciò e contrariamente al buonsenso che vorrebbe fosse incentivato lo spostamento di visitatori dal centro alla periferia, si è imposta (chissà come) la concentrazione del nostro patrimonio diffuso nel recinto ristretto di quella kermesse. Nessuna delle decine di capolavori esposti a Tesori d’Italia è stata realizzata per la grigia periferia di Milano e giustamente si è parlato di “distruzione materiale e intellettuale del contesto”. Così si esprime un importante appello, lanciato da Andrea De Marchi e Francesco Caglioti, preoccupati, al di là dei rischi cui vengono sottoposte le opere, soprattutto per “il radicarsi di un atteggiamento diffuso che nel perseguire l’evento a tutti i costi dimentica le vere sfide poste dalla manutenzione e dalla salvaguardia del nostro inestimabile patrimonio: che sono l’aumento e la redistribuzione di una vera conoscenza fondata sull’innovazione del sapere, cioè sulla ricerca”. La “mercificazione e privatizzazione del patrimonio culturale” detta legge anche quando le “ragioni di mercato”, che vengono tanto invocate, sono del tutto illogiche: mentre avrebbe avuto senso “declinare in chiave territoriale” l’Esposizione Universale e puntare sulla “disseminazione” della conoscenza e del turismo, il rischio è quello di un crollo di presenze fuori da Milano. Se proprio si voleva portare l’arte dentro i capannoni dell’Expo, si potevano finanziare progetti d’arte contemporanea come suggerisce Tomaso Montanari.

Tuttavia ci siamo talmente assuefatti al calendario degli eventi, e più in generale alle regole del mercato, che spesso non ci rendiamo conto delle forzature e delle violenze cui costringiamo monumenti, opere e finanche i libri. Per rimanere alla nostra città, che come il resto del paese ha assistito in questi ultimi anni a un profondo e costante degrado, una mattina di febbraio 2014 ci siamo svegliati con il centro storico arredato nientemeno che da divani e tappezzerie Ikea, che ha voluto così promuovere l’inaugurazione della sua nuova sede pisana. Tranne le solite eccezioni, non si è alzata alcuna voce di protesta, neanche quando si è saputo il Comune ha chiesto alla multinazionale svedese poco più di 100 euro. Se un caso così eclatante di sfruttamento del patrimonio a fini pubblicitari non scandalizza, non deve sorprendere che un esempio di mercificazione di un bene culturale quale il maldestro “restauro delle mura” riscuota un successo così ampio; così almeno è stato in occasione dell’unica apertura del camminamento, avvenuta (guarda caso) poco prima delle ultime elezioni comunali. Le differenze tra le mura di Lucca e quelle della nostra città sono piuttosto evidenti e così pure i problemi di accessibilità e privacy. Invece di procedere prima di tutto a un rigoroso restauro della cinta medievale, per preservarla e valorizzarla per tutti, si è pensato di trasformarla in un grande evento, di sfruttarne cioè le potenzialità commerciali e turistiche. Attraverso i progetti PIUSS si sta perciò completando il camminamento con aree attrezzate di sosta, bar e accoglienza turistica e nel lavoro sono impegnate ditte edili. Già l’architetto Carmassi aveva stigmatizzato “le diffuse stuccature con dosi massicce di malta sull’intera rete di connessioni orizzontali e verticali delle superfici in pietra” e oggi tocca alla Soprintendenza denunciare “l’uso di cemento armato con demolizioni di porzioni originarie”, interventi impropri la cui rimozione provocherebbe “ulteriori danni alle più antiche murature medievali”. Ci siamo guadagnati un danno irreversibile in nome del grande evento, di un selfie da scattare tra le mura merlate, che nelle regole del mercato vale assai di più della storia che quelle pietre raccontano. (Intanto nessuno sa come gestire quei luoghi, forse col volontariato o applicando il modello di successo adottato per la Domus Mazziniana. Si vedrà.)

 

 

Del resto è una tendenza globale quella che vede i nostri centri storici ridotti a luna-park, in cui persino i punti informativi un tempo pubblici sono adesso privati. E ciò non corrisponde affatto a una maggiore efficienza. “Sfruttare fino in fondo la risorsa della cultura e del patrimonio storico-artistico” scriveva nel 2012 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con un’espressione alquanto infelice, che richiama il triste teorema del “petrolio”. Un abisso rispetto a quanto affermato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi il 5 maggio del 2003: “Forse l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell’articolo 9 che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. La Costituzione ha espresso come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano. La stessa connessione tra i due commi dell’articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela, dunque, deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. […] La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici”.

Sarebbe opportuno che tutti tornassimo a riflettere su queste parole.

Nelle foto la pop-star americana Katy Perry durante la sua recente visita in Toscana

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Pubblicato il: 6 giugno 2015

Argomenti: Cultura

Visto da: 4783 persone

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