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Prima che il teatro ti Rovini

Cristina Rovini. Foto Salvo Parrinello

Il teatro secondo Sara & Hengel


Ci sono delle cose che vorremmo non s’incrinassero mai, che danno stabilità e che hanno il grande potere di farci pensare che sì, tutto sta andando come dovrebbe andare. Una di queste cose per noi è sapere che per Pisa s’aggira un personaggio molto particolare, con una personalità complessa ed in continua eruzione. Una donna che da quasi 30 anni si occupa di teatro, arti performative, arte figurativa ed organizzazione culturale e che si muove come un serpente nei meandri dell’underground, dove ne ha viste (e fatte!) un po’ di tutti i colori.

Ecco, ora invece c’è giunta notizia che Cristina Rovini (perché è di lei che stiamo parlando) ha deciso di lasciare il teatro, di smettere. Questo ci inquieta un po’. Ma davvero Cri?
Comunque. Appena ci è arrivato all’orecchio l’addio alle scene di Cristina, non abbiamo potuto fare a meno di farle qualche domanda e chiarire con lei cosa le stia frullando per la mente in questo periodo. Quindi eccoci qua con la prima intervista del Grand-Quignol!
Fate attenzione perché è roba che scotta.

Ciao Cristina. Al telefono quando ti abbiamo chiesto di fare l’intervista ci hai detto una cosa divertente e tagliente, come al tuo solito: “Ecco, dovevo smettere perché qualcuno parlasse di me, ma cazzo, è mai possibile?”. I tuoi modi schietti e sinceri a noi sono sempre piaciuti, ma sappiamo che ti hanno anche bloccato molte strade.
Sei sempre stata così diretta e senza peli sulla lingua? O in passato eri una brava bambina che giocava coi trasferelli? Qual è la tua storia e come sei arrivata al Teatro?

Sono nata in una famiglia numerosa, la terza di quattro figli, tirata su da una nonna poco avvezza alla tenerezza, una guerra continua per avere un po’ di attenzione, l’ultimo boccone di lasagna o sperare che tua sorella ingrassi per avere i suoi pantaloni. Una famiglia in cui però non sono mai mancati i libri e cultura nonostante le nostre radici prima contadine e poi operaie: “con la cultura e l’educazione puoi sederti alla tavola di un principe senza sfigurare!” Questo era il mantra che si predicava in casa e io c’ho sempre creduto. Per questo non ho mai avuto timore a rivolgermi a chiunque, potente o ultimo degli uomini, con lo stesso piglio, sicura delle mie convinzioni. Anche il teatro c’è sempre stato, mia madre andava al Verdi a vedere Carmelo Bene insieme a mio fratello maggiore anche lui appassionato di teatro e il primo della famiglia a montare su di un palco.
Io ho calcato la scena la prima volta a diciannove anni con un gruppo di teatro di ricerca che si ispirava al teatro povero di Grotowski e l’ho fatto nella maniera più classica: andando a letto con il capo.

Ah ah ah, un ottimo modo per coniugare il classico col moderno! Ma a parte gli scherzi… Oltre a sperimentare con gioia il gran gioco dei sensi, nel mondo del teatro hai avuto molteplici e variegate esperienze: dopo l’Accademia d’Arte Drammatica hai conosciuto Judith Malina del Living Theater, ti sei occupata di arti performative, hai fatto incursioni nel Burlesque, nel teatro sperimentale, nella danza. E riguardo a questo c’è una cosa che vogliamo sapere. Parlando con te abbiamo sempre sentito una curiosa dicotomia nei tuoi pensieri sull’arte teatrale: da un lato una tua difesa del teatro tradizionale, dall’altro una tua chiara propensione per la rottura, l’esperimento. Quindi ci chiediamo: cos’è per te il teatro?

Il teatro per me è solo una parte del mio essere artista perché sono anche pittrice e musicista, ma l’arte scenica mi ha dato (a volte) la possibilità di mettere tutto insieme in un’opera unica.
Trovo che sia giunto il momento per il teatro in generale di mettere insieme le due vie: tradizione e ricerca, per dare nuove energie ad entrambe, non mi riferisco alle migliaia di volte in cui abbiamo visto distruggere Amleto in versioni “moderne” sia chiaro, ne abbiamo abbastanza di queste rivisitazioni.

Ritorniamo al fatto che è da un bel po’ che ti muovi negli ambienti teatrali. Come ti sei trovata qui a Pisa? Cosa pensi del teatro in questa città e quali rapporti hai o hai avuto con le realtà teatrali locali?

Quando sono tornata a Pisa (inizi 2000) ero piena di entusiasmo. Ho fondato una compagnia (MKULTRA) ho tenuto corsi di recitazione per dieci anni al circolo Agorà e a Rebeldia, ho allestito una ventina di spettacoli di tutti i tipi dal tradizionale alla ricerca pura, ma non mi ha cagato nessuno.
La Pisa teatrale è morta sotto il peso delle lottizzazioni politiche che hanno dato soldi ai soliti noti i quali li hanno spesi più per sé che per produzioni interessanti e poi, finiti i soldi, i “bravi” direttori artistici sono scappati per altri lidi a rifarsi la verginità perduta e hanno lasciato il deserto sia culturale che di spazi. Altra concausa del decesso è stato il livello di preparazione degli addetti che si è abbassato notevolmente: spettacoli presentati come buone produzioni si rivelano poco più che saggi di fine corso.

Raccontaci di un tuo bel ricordo legato al teatro.

L’esperienza più bella è stata senz’altro il workshop fatto con Judith Malina e Hanon Reznicov anche se conoscevo già il metodo Living. Costruire con loro uno spettacolo è stata un’occasione gratificante e la signora Malina non mi ha deluso: una donna vera, un’artista sincera in cui mi sono riconosciuta.

Ultimamente stavi lavorando su un monologo, qualcosa che riguardava proprio la tua storia e le tue esperienze. L’idea ci è sembrata subito interessante. Abbiamo avuto la sensazione che quella fosse proprio la tua via: spogliarsi del passato, mettersi alla mercé del pubblico… chissà quante cose sarebbero venute fuori. Che ne è di quel progetto?

Il progetto è morto per mancanza di ossigeno. La regista aveva troppi impegni, non avevamo più uno spazio dove lavorare e dopo un anno ho staccato la spina. Il progetto era nato dalla mia necessità di tornare a fare l’attrice dopo anni di regie e raccontare il lato oscuro del mondo teatrale quello degli applausi mancati, dei provini bocciati, insomma la mia storia d’artista, ma visto che sono una perdente non poteva che andar male anche questo.

Logica stringente… Anche se una perdente non lo sembri proprio (e neanche una vincente se si usano i canoni di questo mondo). Tu sei Cristina Rovini che già è tanta roba e per di più sei anche una first lady, la primadonna di un Principe delle Tenebre. Cosa significa per te essere moglie di Dome La Muerte e come ha inciso sulla tua esperienza teatrale il rapporto con il rock e i rockers?

Io e Dome ci siamo conosciuti nel lontano 1987 perché ho messo in scena una spettacolo nel suo locale (il Mirror per chi se lo ricorda) poi ci siamo persi di vista per tanti anni. Quando ci siamo ritrovati io non avevo idea del personaggio di Dome la Muerte e fondamentalmente della scena rock non mi interessavo proprio. Non ho avuto nessuna devozione o ammirazione per il personaggio e questo ci ha permesso di avere un rapporto alla pari con la stima reciproca che due artisti possono avere l’uno dell’altro. Ci aiutiamo e sosteniamo conoscendo entrambi cosa vuol dire scegliere di vivere da artisti senza compromessi. Teatro e rock non sapevo come coniugarli, poi mi sono inventata il personaggio della presentatrice di concerti inventandomi sempre cose nuove (ho presentato anche un intero festival neanche fossi la Clerici) è stato divertente ed apprezzato nella scena dei rockers, ma anche questo è finito. Non farò più la presentatrice.

Mmmm… questo ci dice che è tempo di arrivare al punto. Hai deciso di lasciare le scene. Spiegaci per bene cosa ti ha fatto prendere una simile decisione e raccontaci, se veramente intendi lasciare il teatro, cosa occuperà da oggi la mente inquieta di Cristina.

Quando nella vita continui a sbattere contro i muri neanche fossi una falena abbagliata dalla lampadina e non riesci a passare oltre, prima o poi ti stanchi: ecco la ragione sono stanca.
Stanca di cercare spazi che non mi danno perché non sono del PD
stanca di lavorare con persone che non sanno lavorare
stanca di progettare spettacoli che non vedranno mai la luce
io non lascio il Teatro è il Teatro che non mi ha voluta
ho soltanto smesso di bussare alla sua porta.

Presa questa decisione una calma consolatrice ha avvolto il mio animo e sto molto meglio, ho capito che a volte cessare di “esistere” e lasciare che le cose vadano come volevano andare rende più leggeri. Ho un nuovo progetto legato alla cultura psichedelica e al cibo, ma siamo ancora all’inizio e non so come andrà, vedremo. Poi c’è il disegno, la pittura e sto scoprendo le possibilità creative della serigrafia artigianale. Ma anche mettere a posto casa è un buon progetto per i prossimi mesi.

Grazie Cristina. Per la sincerità e la tua solita schietta ironia. Ora avremmo voluto chiederti qualcosa sul tuo cammeo nel film Sogni di Gloria con Carlo Monni, ma siamo alla fine dell’intervista, sappiamo che ti piace avere sempre l’ultima parola e non vogliamo certo venire incontro alle tue ire. Per cui, ecco… adesso sta a te. Dicci ciò che vuoi e come vuoi. Noi semplicemente staremo ad ascoltare.

Il Monni!! Che fortuna che ho avuto poter lavorare con un uomo del genere, un vero artista, uomo colto e popolare insieme e visto che devo chiudere l’intervista voglio citarlo.
Durante le pause delle riprese, al bar naturalmente, parliamo di beat generation e Fernanda Pivano, racconto di quando l’ho conosciuta e del fatto che lei si lamentava ormai ottantenne di essere stata fedele al marito quando i maggiori poeti americani le facevano una corte spietata dicendo che sarebbe stato meglio se fosse stata una puttana e io le davo ragione. Al che Carlo interviene: “Io questo discorso l’ho già sentito anche da donne della tua età Cristina, ma la dovevate da’ quando la volevano.”
Ecco, non so se tutti afferrano il pensiero filosofico dietro, ma il senso è questo le cose vanno fatte a suo tempo, inutile pensarci dopo e per citare il Monni nel film “Sogni di gloria”: “quando una carta è passata, è passata. Non torna più!”

CRISTINA ROVINI. Nata a Pisa il giorno 11 giugno 1966 (anno del Cavallo di fuoco), diplomata al Liceo Artistico frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze che abbandonerà prima della discussione di tesi per unirsi ad alcuni attori e formare una compagnia di teatro di danza e mimo chiamata “Teatro del Provvisorio” a Lucca. Nel 1989 lascia la compagnia per trasferirsi a Roma dove si diploma all’Accademia di Arte Drammatica P.Sharoff. Alla fine degli anni ’90 torna a Pisa e riprende l’attività di attrice, regista, pittrice, artista psichedelica, musicista, performer.
Facilmente confondibile con un’aliena se non la si conosce, Cristina è un mistero, una mina vagante della scena sotterranea… facilissimo odiarla, bellissimo amarla.
Foto di Salvo Parrinello

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Pubblicato il: 6 giugno 2015

Argomenti: Cultura, Teatro

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