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Dall’agricoltura sociale le comunità che coltivano “Buoni Frutti”

agricoltura

Si chiama Buoni Frutti ed è un marchio etico, una comunità, un progetto di franchising sociale per l’agricoltura. Si rivolge ai produttori, alle istituzioni, alle cooperative e a tutti quei soggetti che credono nel valore della terra, del lavoro agricolo, di quel plus valore che si genera quando all’agricoltura si unisce la solidarietà e la cura dell’ambiente.

logo-ibuonifrutti1Il progetto è nato da AiCARE, l’Agenzia Italiana per la Campagna e l’Agricoltura Responsabile e Etica, insieme al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, e punta a costruire buona progettazione nel settore dell’agricoltura sociale, per far nascere più velocemente progetti per nuovi posti di lavoro e servizi per aree urbane e periurbane.

A dare il via all’idea è stata proprio AiCare, che ha portato avanti una campagna negli anni passati sul tema dell’agricoltura civica con un viaggio per l’Italia da cui ha tratto le esperienze più significative. Da quel viaggio nacque un libro che si intitolava appunto “Buoni Frutti”, e il nome è stato così utilizzato anche per il progetto di franchising.

Ne abbiamo parlato con il prof. Francesco Di Iacovo, che segue il progetto da anni. “Si tratta di offrire nuovi servizi e opportunità per cittadini e consumatori”, spiega. “Con AiCare abbiamo un percorso di lunga data, e con l’Università di Pisa da 15 anni seguiamo il tema dei servizi alla persona nelle aree rurali e le pratiche di agricoltura sociale.

“Buoni Frutti è un franchising sociale, non un’operazione solo di mercato”, aggiunge. “Tende a costruire una comunità di soggetti che si riconoscono in una serie di pratiche, e dietro un marchio c’è un manifesto con principi e valori, dei percorsi di formazione e accompagnamento delle imprese verso il loro consolidamento e la messa in rete”.

I soggetti cui guarda sono quindi gli imprenditori agricoli, che possono operare insieme al terzo settore e alle amministrazioni. “In realtà si considerano imprenditori agricoli una larga platea di soggetti”, dice ancora Di Iacovo, “che comprende anche il mondo dell’associazionismo e dei supporter”.

Il progetto si articola in due azioni portate in parallelo: insieme agli attori sociali, società della salute, comuni e cooperative agricole sono state individuate delle linee di condotta e metodi. Una volta stilato il manifesto è partita l’individuazione delle aziende interessate a far parte della rete: “Svolgiamo una prima visita in azienda, si registra lo stato dell’arte del portatore di progetto, se ha avuto esperienze o meno in questo campo. L’azienda viene quindi accompagnata con attività formative ma anche con momenti di confronto con le altre realtà”.

Buoni Frutti è un franchising sociale, non un’operazione solo di mercato

Buoni Frutti è stato lanciato in autunno di quest’anno: “È stata firmata una convenzione triennale tra dipartimento e AiCare, ma l’ambizione è di superarla. Ci sono già una decina di aziende in tutta Italia, e un paio di province che hanno chiesto di cominciare a testare questo strumento. In Toscana hanno mostrato interesse i territori compresi negli ambiti di azioni di Asl e Sds di Valdera, Pisa e Valdicecina, Amiata e Lucchesia”.

Dopo anni di ricerca sui progetti migliori, più in grado di tenere insieme esigenze agricole e istanze sociali, Buoni Frutti è un risultato importante, ma non isolato. “Anche gli orti etici ad esempio, nascono da un accordo fra l’Università di Pisa e l’azienda agricola Colombini, un’azienda che fa inclusione sociale e lavorativa per fasce deboli. Il nostro ruolo è stato da una parte affrontare e codificare il tema dell’agricoltura sociale, un’etichetta che non esisteva nel 2003 e che abbiamo definito più precisamente. L’azione successiva è stata la messa in rete e l’operatività dei progetti, fino ad arrivare alla legge regionale toscana del 2010 sull’agricoltura sociale. Oggi la sfida è estendere le pratiche sul territorio nazionale”.

“L’elemento innovativo dell’agricoltura sociale non è solo il fatto che più campi agricoli vengano destinati a questo scopo, ma è anche la sfida di mettere insieme mondi diversi che collaborando riescono a creare opportunità”, dice Di Iacovo, che fa anche qualche numero: “35 imprese coinvolte, 15 cooperative sociali. In tre anni sono stati creati 38 posti di lavoro”. L’elemento vincente? “Convincere le imprese presenti sul territorio ad aprirsi, in una logica di economia civile, che guarda alla produzione di beni pubblici sotto l’occhio della sostenibilità economica e non solo della responsabilità sociale d’impresa”.

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Pubblicato il: 31 dicembre 2014

Argomenti: Ambiente, Economia-Lavoro, Sociale

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