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Un test genetico per diagnosticare la dislessia, la ricerca di Cnr e Università di Pisa

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Un team di ricercatori del Cnr e dell’ateneo pisano ha scoperto che un particolare tipo di dislessia è causata dall’alterazione di un gene. Con un marcatore sarà possibile diagnosticare precocemente il disturbo 


Un marcatore genetico per aiutare la diagnosi precoce della dislessia. A far luce sul metodo innovativo per scoprire la malattia è uno studio condotto da Guido Marco Cicchini dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa e Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa. La ricerca – condotta in collaborazione con Daniela Perani dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Cecilia Marino e Sara Mascheretti dell’IRCSS Medea – ha rivelato un’associazione tra un particolare tipo di dislessia causata da un’alterazione di un gene, il DCDC2, e un disturbo specifico della visione.

“Ad oggi la dislessia è diagnosticata solo quando si evidenzia un ritardo dell’apprendimento, altre cause vengono escluse” commenta Cicchini. “Questo rallenta molto, talvolta anche di anni, ogni forma di intervento. Scoprire un marcatore genetico e fisiologico” prosegue il ricercatore, “cambia radicalmente tale prospettiva: in futuro, la diagnosi di questo tipo di dislessia potrebbe essere più semplice e molto più precoce”.

Il DCDC2 fa parte di una ristretta famiglia di geni collegati alla dislessia. È noto che il 20% dei dislessici presenta un’alterazione di questo gene, tuttavia il ruolo del DCD2 finora era rimasto oscuro. Lo studio, pubblicato in questi giorni su The Journal of Neuroscience, ha preso in esame un gruppo di dislessici portatori di un’alterazione di questo gene, dimostrando che sono ciechi al movimento di alcuni stimoli visivi, quelli di solito più visibili nei soggetti normali.

“Questi soggetti dislessici rilevano correttamente la forma o l’orientamento di un oggetto, ma se forzati a indicare la direzione in cui si muovono alcuni stimoli tirano a caso”, spiega la professoressa Morrone. “Per fortuna questo deficit è presente solo per alcuni tipi di stimoli e quindi l’impatto nella vita quotidiana può essere limitato, ma in alcuni casi – continua Morrone – potrebbe non essere così: per esempio la direzione di un pedone o di una bicicletta visti da lontano potrebbero non essere percepita. Siamo di fronte a un sottotipo specifico di dislessia che sarebbe auspicabile riconoscere e trattare in maniera adeguata fin dai primi anni di vita, e la genetica può aiutare a selezionarlo in età molto giovane, quando le terapie riabilitative sono più efficaci”.

I ricercatori pisani e milanesi da oggi sono più vicini all’obiettivo di definire biomarker specifici e terapie più appropriate soprattutto nella dislessia associata a mutazioni genetiche. “Grazie al loro lavoro – si legge nel comunicato dell’Università di Pisa – possiamo comprendere che un approccio multidisciplinare integrato alla dislessia è necessario per avere diagnosi e terapie sempre più specifiche e risolutive”.

 foto da Flickr – Patrick Alexander  

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Pubblicato il: 28 maggio 2015

Argomenti: Scuola-Università

Visto da: 945 persone

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