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Lenticchie Il colloquio di lavoro

colloquio-lavoro

La preparazione, le fasi, le ansie e gli imprevisti del primo colloquio di lavoro. “Cosa mi metto? Perché sono qui?”: l’evoluzione da Colloquiando a Candidato


Anno nuovo, (curriculum) vita(e) nuova. Più o meno. Riparte l’anno e riparte la corsa a marcare il territorio di attestati, raccomandazioni, domande per, richieste di, sottoscrizione del e così via. Per la legge dei grandi numeri, qualcuno alla fine arriva alla meta: un colloquio.

Quando succede, la prima fase del Colloquiando Incredulus è il sudore freddo. Insomma, uno è abituato a venire scartato, sfanculato, ignorato o simpaticamente scacciato e di punto in bianco si trova a dover fare un colloquio? E che modi sono? Già avevo prenotato la ceretta e il podologo per quel giorno lì e mo’ mi tocca spostarli. Screanzati.

Il turbine delle paranoie da apparenza

Sbrigate le pratiche necessarie per avere il giorno del colloquio libero – pratiche che generalmente si sostanziano nel puntare la sveglia alle otto invece che a mezzogiorno – il Colloquiando si infila di gran carriera nel turbine delle paranoie da apparenza.
E mo’ che mi metto? Un completo? Troppo formale. Una tuta? No, dai. Jeans e camicia? Un frac? Nudo con il cravattino?
E come mi trucco (parte riservata alle donne, nella maggior parte dei casi)? Rossetto rosso? Seh, così poi mi chiedono quanto prendo. Senza trucco? Eh, sì, col biberon pure. Eye liner? Matita? Ombretto? Coda di rospo? Pelle di serpente?
Dopo ore di penoso strazio, la decisione è presa: mi tengo il cappotto e chiasso finito. L’accappatoio nel malaugurato caso di colloquio estivo.

Giunto tremolante e sudaticcio nella sala dove si terrà la prova, il Colloquiando cambia identità e nel momento stesso in cui varcherà quella porta comincerà a chiamarsi Il Candidato.

Il Candidato entra.
Saluta. Si siede.
Un rapido sguardo alla commissione.
Tentativo eroico di trattenere una bestemmia da Oscar quando, per accavallare le gambe, sbatte l’alluce sulla gamba del banchino dove è stato piazzato.

Comincia il colloquio.
Il Candidato soffre ma risponde.
La difficoltà delle domande incalza.
Egli non cede.
Il Candidato sa il fatto suo, dice l’alluce, ormai talmente gonfio da aver preso una sedia ed essersi messo accanto al presidente della commissione.

A un certo punto arriva lei. La domanda motivazionale

Finché arriva lei. Lei.
La domanda motivazionale.
“Cosa si aspetta da questo lavoro?” o, nella variante bonaria, “Perché ha scelto di candidarsi per questo colloquio?”
Il Candidato sa che è qui che si fanno i giochi. Qui si decide tutto.
La commissione, anche lei, sa benissimo che il colloquio è imperniato su questa domanduccia. Sadica, non vuole risposte preconfezionate. Si aspetta che Il Candidato la stupisca.

E Il Candidato ha solo cinque modi per stupirla:

  1. senza scomporsi, rispondere ciò che tutti pensano e non hanno il coraggio di replicare: “Beh, ma per i soldi, è ovvio”.
  2. montare in piedi sul banchino e simulare la scena finale de L’attimo fuggente, calandosi le braghe e strillando Perché dovete baciarmi il deretanomioderetano, per poi uscire inneggiando all’anarchia e andare finalmente dal podologo che quell’alluce lì proprio non mi piace sulla tonalità verde padule.
  3. iniziare un qualsivoglia discorso con Quando c’era lui.
  4. candidamente ammettere che ha fatto tutto mamma, io non ci volevo venire.
  5. mettersi a piangere sostenendo che però non è giusto, aveva detto che oggi spiegava.

Forse non passerete (non sareste passati comunque, non si passa mai al primo colloquio, sapevatelo), ma si ricorderanno di voi.

Imboccallupo,
Alessia R. Terrusi

 

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Pubblicato il: 25 gennaio 2015

Argomenti: Cultura, Lenticchie, Quaderni

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