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Il dopo Gelmini e il ritorno al sistema feudale

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Ieri una giornata di confronto fra gli atenei toscani indetta dalla Flc-Cgil di Pisa ha fatto chiarezza su cosa è cambiato dall’introduzione della contestata riforma

Una giornata dedicata all’università, alla ricerca e a come sia cambiato il sistema dell’alta formazione in Toscana. La Flc-Cgil, categoria sindacale che si occupa dei lavoratori della conoscenza, ha infatti indetto per ieri un momento di riflessione e confronto fra gli atenei pisani, a partire dalla quasi completa attuazione della cosiddetta riforma Gelmini.

Presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie di Pisa si sono incontrati docenti, tecnici e amministrativi, precari e studenti, per analizzare e riflettere sulle conseguenze che le politiche di taglio del finanziamento pubblico, della drastica riduzione del reclutamento di personale docente e tecnico-amministrativo e di blocco della contrattazione stanno determinando al sistema regionale universitario.

“La nostra regione presenta una situazione estremamente articolata con Atenei di antica tradizione come Pisa, Firenze e Siena”, spiega Simone Kovatz della Flc-Pisa, “realtà di eccellenza come la Scuola Normale Superiore e la SSSUP Sant’Anna e piccole istituzioni universitarie quali l’IMT di Lucca, l’Università per Stranieri di Siena e il SUM di Firenze”.

“In questo contesto – aggiunge – e in una situazione in cui l’Italia già si presentava come fanalino di coda non solo in Europa ma fra tutti i paesi più industrializzati del mondo per investimenti in ricerca, si è inserita la riforma Gelmini che ha profondamente modificato gli equilibri e gli assetti interni delle Università”.

“La drastica riduzione delle risorse e la contrazione complessiva del sistema universitario ha investito anche gli Atenei toscani che hanno vissuto, e stanno vivendo, un momento molto difficile. Su questo intendiamo riflettere e discutere, convinti che la deindustrializzazione e i massicci processi di privatizzazione del paese, che coinvolgono anche la nostra regione, l’assenza di politiche industriali attive e i processi di delocalizzazione e dequalificazione del sistema produttivo regionale, siano una precisa conseguenza della crisi e della strutturale sottovalutazione del ruolo della ricerca e della formazione come strumento di sviluppo”.

Rispetto alle specificità degli atenei, è Alessandro Rapezzi, segretario regionale della Flc-Cgil, che illustra la situazione: “Sono quattro gli aspetti principali su cui abbiamo avviato il confronto fra le quattro province: il cambiamento degli organi di governo, le risorse degli atenei, le condizioni di lavoro e le ripercussioni di questi elementi sulla qualità della didattica e sugli studenti”.

“Noi partiamo da una condizione molto difficile dal punto di vista sindacale”, dice Rapezzi, “ovvero quella dei contratti bloccati. La nostra priorità è lavorare per riaprire la contrattazione, ma è necessario avere attenzione anch agli altri aspetti. Per quel che riguarda il primo aspetto, abbiamo assistito con la riforma Gelmini al tentativo di dividere la funzione della rappresentanza da quella gestionale. C’è una forte differenza nei ruoli tra il Senato accademico e il consiglio di amministrazione ad esempio, e notiamo che sopratutto quest’ultimo è concentrato sulla figura del rettore, che si sta gradualmente trasformando da figura rappresentativa a puramente manageriale. Analogamente, altre figure dirigenziali si stanno spostando sempre più verso ruoli aziendalisti, con il risultato che siamo di fronte ad un sistema quasi feudale”.

“Per quanto riguarda le risorse – spiega ancora Rapezzi – abbiamo perso complessivamente il 15% delle risorse dedicate al personale. È un dato medio nazionale che in Toscana si traduce nella perdita di oltre 1.000 addetti dei tre atenei in circa 7/8 anni, fra personale docente e tecnico-amministrativo. Questa perdita si traduce in impoverimento della didattica e della qualità dei servizi”.

Ripercussioni negative anche sulle condizioni di lavoro: “Con meno personale è chiaro che anche l’organizzazione del personale ne risente. Persiste inoltre la tendenza alle esternalizzazioni, processo attraverso il quale si creano ingiustizie palesi. A parità di lavoro infatti non corrisponde parità di salario fra personale interno ed esternalizzato, una condizione che vogliamo superare quanto prima”.

Gli studenti infine. “Assistiamo a un calo costante delle iscrizioni, perché le tasse universtarie sono complessivamente aumentate e perché il titolo di studio non è più percepito come un bene in sé. Anzi, c’è sempre più la tendenza a scegliere un percorso di studi in funzione della ricerca di lavoro, quanto di più sbagliato e miope si possa fare – conclude Rapezzi – perché riporta indietro di anni la cultura dell’istruzione e della conoscenza”.

 

 

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Pubblicato il: 17 gennaio 2014

Argomenti: Economia-Lavoro, Pisa, Scuola-Università

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