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InQuadriamo il diritto Incapacità di intendere e di volere: quando si è imputabili e quando no

AUGUSTO-DE-LUCA-flickr

Cosa prevedono le norme speciali che  disciplinano la responsabilità ed il risarcimento del danno derivante da fatto illecito quando il danno viene compiuto da un soggetto che, all’epoca del fatto, non era capace di intendere e di volere


Cari lettori,
oggi con InQuadriamo il diritto continuiamo ad analizzare le norme speciali che, nel nostro sistema,  disciplinano la responsabilità ed il risarcimento del danno derivante da fatto illecito e vediamo, in particolare, che cosa succede quando il danno viene compiuto da un soggetto che, all’epoca del fatto, non era capace di intendere e di volere.

L’art. 2046 del nostro codice civile stabilisce che non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere nel momento in cui è stato commesso il fatto, a meno che tale incapacità non sia stata da lui colposamente provocata.

La norma è molto chiara. Solo coloro che sono dotati della capacità di intendere e di volere (ossia della capacità di capire le conseguenze delle proprie azioni e di volere tali conseguenze) possono essere considerati “imputabili”, ossia “responsabili” del fatto che hanno commesso. Chi, invece, per una qualsiasi causa è privo, anche se solo in maniera temporanea, della capacità di intendere e di volere non sarà chiamato a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni.

Così, ad esempio, se Tizio, affetto fin dalla nascita da un gravissimo disturbo psichico, inizia improvvisamente a correre per strada e a scaraventare in terra tutte le biciclette che trova lungo il suo percorso, i proprietari delle biciclette, danneggiati dalla condotta di Tizio, non potranno agire nei suoi confronti per ottenere il risarcimento dei danni subiti perché Tizio, nel momento in cui ha commesso il fatto, era assolutamente incapace di intendere e di volere e non era, quindi, imputabile.
In questo caso, a rispondere delle conseguenze del fatto dannoso sarà chi era tenuto alla “sorveglianza” di Tizio (i genitori, il personale sanitario, un tutore ecc.): sarà questo soggetto, ossia il sorvegliante, a dover risarcire il danno provocato da Tizio, e l’unica prova che il sorvegliante potrà fornire in giudizio per essere liberato dall’obbligo di risarcire il danno consisterà nella prova di aver fatto il possibile per evitare il danno. Il sorvegliante dovrà, ad esempio, dimostrare che Tizio è sfuggito al suo controllo con un gesto improvviso e violento e che non era in alcun modo possibile fermare Tizio e impedirgli di compiere ciò che poi ha compiuto. Ma non è tutto. Perché nell’ipotesi in cui il sorvegliante riesca a fornire la prova di aver fatto il possibile per evitare il danno, il danneggiato avrà un’unica alternativa: quella di chiedere a Tizio il pagamento di un equo “indennizzo”. Ma attenzione: l’indennizzo è molto diverso dal risarcimento del danno. Il risarcimento può essere chiesto solo a soggetti pienamente capaci di intendere e di volere, e serve a ripagare integralmente il danno subito (ad es., se il danno è di 100 euro, il risarcimento sarà di 100 euro). Al contrario, l’indennizzo viene chiesto, in questo caso, ad un soggetto incapace di intendere e di volere, e serve solo a dare una “piccola soddisfazione” al danneggiato, ma non anche a ristorarlo integralmente delle conseguenze pregiudizievoli subite (ad es., se il danno è di 100 euro, l’indennizzo potrà essere di 60 euro).

L’indennizzo spetta al danneggiato anche nei casi in cui il danneggiante sia stato solo temporaneamente incapace di intendere e di volere. Immaginate, ad esempio, Caio che, a causa di un improvviso e imprevedibile malore, sviene mentre si trova alla guida della sua auto e, con questa, finisce contro un’altra auto, danneggiandola. In questo caso l’incapacità di Caio è soltanto temporanea, e quindi non è neppure ipotizzabile che il risarcimento venga chiesto ad un sorvegliante, dato che Caio normalmente è perfettamente capace di intendere e di volere e non è, quindi, affiancato da un sorvegliante. Anche in questo caso, allora, al danneggiato non spetterà un vero e proprio risarcimento del danno, ma soltanto un semplice (e di valore inferiore) indennizzo monetario.

Ultima precisazione. Chi, per sua colpa, si trova in una situazione di incapacità di intendere e di volere non sarà mai esentato dalle proprie responsabilità e sarà sempre considerato a tutti gli effetti imputabile. Pensate, ad esempio, a Sempronio che, dopo aver bevuto cinque birre, quattro gin tonic, sei spritz e tre vodka lemon si mette alla guida e dà luogo ad una serie di sinistri stradali. Con ogni probabilità Sempronio risulterà completamente ubriaco e, quindi, totalmente incapace di intendere e di volere. Ma Sempronio, in quella condizione di ubriachezza (e, quindi, di incapacità di intendere e di volere) ci si è messo spontaneamente. È stato Sempronio che, partendo da una normalissima condizione di capacità di intendere e di volere, ha iniziato a bere a dismisura, fino ad ubriacarsi. A quel punto Sempronio non potrà invocare “a sua discolpa” il suo stato di incapacità di intendere e di volere, e non potrà quindi chiedere di essere tenuto al solo pagamento di un semplice indennizzo. La condotta di Sempronio è stata colposa, e colposa è stata la sua incapacità di intendere e di volere, che si definisce in questi casi “incapacità procurata”: Sempronio sarà quindi tenuto a rispondere delle proprie azioni e sarà quindi tenuto a risarcire integralmente tutti i danni da lui eventualmente causati.

Vi aspetto alla prossima!
Francesca Bonaccorsi

 

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Pubblicato il: 27 maggio 2015

Argomenti: InQuadriamo il diritto, Quaderni

Visto da: 2048 persone

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