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DiSbieqo Samba, Eric Toledano e Olivier Nakache (2015)

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Il film, tratto dal romanzo di Delphine Coulin “Samba pour la France”, indaga l’immigrazione e i suoi problemi, l’integrazione e le relazioni umane. Dal taglio documentaristico la pellicola talvolta gira su se stessa


samba_locandinaDopo Quasi amici, ci riprovano Eric Toledano e Olivier Nakache, con una pellicola che va ad indagare l’immigrazione e i suoi problemi, l’integrazione e le relazioni umane, in generale. Samba Cissé – interpretato da Omar Sy – viene dal Senegal, cerca da anni l’integrazione a Parigi, gravitando intorno a lavori alla giornata, rincorrendo il sogno di diventare cuoco. Per problemi burocratici è relegato presso il centro immigrazione nella banlieu parigina per ricevere un permesso di soggiorno che invece non arriva. È qui che conosce Alice, una parigina bianca che è in congedo da un lavoro prestigioso per esaurimento nervoso.

samba1Anche qui, come in Quasi amici, lo sguardo si concentra sulla differenza sociale dei due, uno sguardo classista e culturale. Charlotte Gainsburg interpreta bene il simbolo della crisi borghese, colei che si offre all’accoglienza sociale tramite un’associazione umanitaria, in una sorta di buona azione che sa di “espiazione”. Per Samba l’interesse di Alice è fondamentale: ha chiaro il risvolto opportunistico che questa cosa può avere nella sua vita. I due si appoggiano a vicenda, due vuoti che cercano di farsi “pieno”, in una malinconica ricerca di un senso alla propria vita. Samba lotta quotidianamente, tra documenti falsi e lavori alla giornata, insieme ad altri immigrati che si accalcano nella speranza di un giorno di salario: chi entra e chi rimane fuori, drammaticamente alla ricerca di qualcosa che non arriverà.

 

samba3Il film, tratto dal romanzo di Delphine Coulin “Samba pour la France”, con un taglio documentaristico, complice la fotografia, non ha però la forza eclatante dell’ostentazione drammatica, talvolta gira su se stesso, cerca di fare luce sul problema dell’immigrazione – e alcune scene drammatiche hanno la forza di smuovere qualche riflessione ­ – ma rimane troppo distante dall’entrare davvero dentro e lo sguardo sul problema rimane freddo, utilitaristico. Non c’è un vero slancio, un grido di protesta che abbia la presunzione di dire qualcosa di socialmente pregnante, di politicamente scorretto.

Lo zio di Samba, un povero vecchio che combatte per il sogno di tornare al paese con i soldi per una casa, dirà al nipote di vestire come un occidentale, non come un clandestino, con un cappotto elegante, una valigetta in pelle, una rivista sotto il braccio. Questa è la scena più dura: è lo status symbol borghese che può salvare Samba dai controlli di polizia e dal rimpatrio forzato: in un deformante sguardo soggettivo tutti sembrano osservare proprio lui, impaurito e colpevole.

In generale, un leggero disagio accompagna tutta la visione, regalandoci una sensazione claustrofobica di cosa significhi sopravvivere; rimane salvifico il senso dell’amicizia, e Wilson, che finge di essere latinoamericano perché è meglio per un immigrato, è una figura positiva e ottimista che va a stemperare il dramma di fondo.

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Pubblicato il: 1 maggio 2015

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 1348 persone

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