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Dalla “chiamata alle arti” 67 idee per il futuro del Teatro Rossi Aperto

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La scorsa domenica una giornata di lavoro e partecipazione al Teatro Rossi Aperto, dopo quattro mesi di raccolta di idee progettuali per la riapertura dello spazio e il suo orientamento culturale


Cosa è successo domenica al Teatro Rossi Aperto?

Domenica c’è stata una festa: la giornata aperta che chiudeva a tutti gli effetti la Chiamata alle arti, che è stata attiva da dicembre a marzo. La giornata l’abbiamo chiamata TRAme, perché volevamo fortemente che le proposte arrivate si conoscessero, si intrecciassero, si mettessero in relazione l’una con l’altra. Abbiamo ricevuto 67 risposte e dato la precedenza a 42 progetti (quelli più rispondenti a quello che chiedevamo nella Chiamata, cioè progetti articolati, in grado di far vivere lo spazio e non semplici proposte-spettacoli) e domenica abbiamo incontrato 33 tra gruppi, individui e compagnie proponenti (più una conferenza Skype dal Kosovo con Jeton Neziraj). E così abbiamo anche inventato un modo di parlarci, di scambiarci le informazioni, a metà tra qualcosa di strutturato e formale e una giornata informale, tra visite esplorative e sessioni di lavoro, un pranzo festoso e qualche ora di segreteria organizzativa… È stato un esperimento molto riuscito e il teatro era pieno di gente, molti venuti anche da città come Bologna, Milano, Ferrara, Firenze, Roma.

67 proposte sono tante, per un teatro “informale” come il vostro. Che genere di proposte sono arrivate e come le avete presentate?

Tra le proposte ce ne sono molte rivolte a lasciare un segno nel Teatro, scegliendo di farsene carico

Ovviamente c’è di tutto. Molti progetti aperti, che avevano colto in pieno lo spirito della chiamata, progetti volti a lasciare un segno nel Teatro, scegliendo di farsene carico e di creare partecipazione attraverso le proposte. Altri progetti esprimono prima di tutto la volontà di collaborare con gli altri, e di arricchire quello che è possibile fare e si sta già facendo: progetti che si propongono di curare la documentazione, innanzi tutto, e poi la riflessione sulla scenografia e la sua coerenza con il contesto, o la composizione di musica di scena. Molti sono i progetti di residenza, la volontà di compagnie e gruppi di abitare il Teatro Rossi per inserirlo performativamente nella città, come luogo di creazione non solo in cui si va a vedere uno spettacolo, ma da cui il teatro, la musica o la danza possono dischiudersi verso la città.

Soprattutto però, sono emerse intenzioni artistiche simili, forse quelle di un teatro che Annamaria Monteverdi, proponendo una collaborazione internazionale con il Kosovo, ha chiamato “parallelo”; un teatro non ufficiale, che sta con i migranti, con i bambini, con gli anziani, con spettatori individualizzati, che si lega alle nostre marginalità sociali e a quelle interiori, che riprende la memoria e il desiderio privati e li fa diventare un fatto in cui è possibile riconoscerci.

Perché avete fatto questa chiamata alle arti?

La chiamata ci serve per cominciare a sperimentare un modello di organizzazione e gestione delle attività culturali che sia per quello spazio, sostenibile in un momento di crisi. L’idea è quella di creare un progetto partecipato a tutti gli effetti. Vorremmo provare a passare da una “programmazione” che concilia i desideri dell’assemblea con le proposte che ci arrivano quotidianamente, a una forma più armonica, che non si limita ad ascoltare e raccogliere le esigenze del territorio e delle arti, ma le mette insieme provando a fare in modo che, nel confronto collettivo, il Teatro Rossi Aperto trovi una direzione culturale consapevole, in cui i linguaggi artistici si intrecciano con il desiderio di creare un teatro per la comunità, uno spazio di relazione in continuo divenire.

In che modo tutto questo serve al futuro del TRA e al suo rapporto con le istituzioni?

In una situazione istituzionale oggettivamente difficile – nessun appoggio concreto dal Comune, l’incontro tutto da costruire con il nuovo Soprintendente, dopo due anni e mezzo di riapertura – abbiamo deciso di aggiungere un tassello importante, e di peso. Al primo progetto tecnico di recupero e rifunzionalizzazione del Teatro Rossi (che abbiamo studiato ed elaborato nel suo primo step) doveva affiancarsi un progetto culturale di rivitalizzazione. Entrambi i problemi e i percorsi vengono da lontano, dal wokshop con Lecat il primo, da una serata con César Brie il secondo, ci abbiamo messo un po’ ad elaborarli, nel rispetto dei nostri tempi di vita e del tempo di maturazione delle idee, grazie all’aiuto di chi si è messo in viaggio con noi. Ma le gambe sono queste due, e si devono muovere in maniera coordinata. La Chiamata alle arti è la forma che ha assunto, dopo una lenta riflessione, una nostra prima risposta al problema del modello di una possibile gestione aperta del teatro, oggi.
Il risultato dell’incontro è buono, ora tutti lavoreremo perché le TRAME si sviluppino, le aperture si intensifichino e certo ci sarà bisogno di alcune correzioni di tiro perché si naviga a vista.
Ma rivendichiamo il diritto all’errore, stare nelle cose, certi e certe che la comunità che si è costituita domenica possa essere una bizzarra e inedita rete di rigenerazione.

Foto di Oirot Buntot

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Pubblicato il: 21 aprile 2015

Argomenti: Cultura, Pisa, Politica

Visto da: 928 persone

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