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The Imitation Game, quello vero

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Utimo capitolo dedicato a The Imagination Game. Per chiudere la serie non potevamo non parlare del gioco che dà il titolo al film: nel 1950 Turing propose il famoso test per decidere se le macchine sono o no capaci di pensare


di Giovanni A. Cignoni

1950_TuringMindPer chiudere la serie non potevamo non dire del gioco che dà il titolo al film. Turing nell’ottobre del 1950 pubblicò su Mind un articolo intitolato “Computing Machinery and Intelligence” dove propose il famoso test per decidere se le macchine sono o no capaci di pensare. È una pietra miliare dell’intelligenza artificiale e il primo paragrafo si intitola proprio “The imitation game”.

Nel 1950, almeno in Stati Uniti e Inghilterra, i cervelli elettronici incuriosivano non poco, forse incutevano anche un po’ paura, certamente suggerivano interrogativi. Ai traguardi scientifici appena raggiunti si sovrapponevano le eco, spesso un po’ distorte, della loro diffusione popolare. Il terreno era, d’altra parte, già stato preparato dalla fantasia che, come sempre, galoppava.

Negli Stati Uniti EINAC aveva cominciato a funzionare regolarmente nel 1946 e l’anno successivo era stato definitivamente consegnato alla base di Aberdeen. Dal progetto militare al prodotto commerciale, UNIVAC, e poi al mito collettivo il passo è breve e Popular Science nel marzo 1949 dedica un articolo ai calcolatori di Eckert & Mauchly, il titolo la dice lunga: “Want to buy a brain?”.

 

1949_PopScience1

 

1942_ASFMarchMa le intelligenze artificiali erano sulla breccia già da tempo, “Runaround” per esempio era apparso sulle pagine di Astounding Scienze Fiction nel marzo 1942. Fra i tanti racconti di Asimov sui robot questo è il primo in cui sono esplicitamente enunciate le tre leggi della robotica.

Non sappiamo se Turing leggesse Asimov, ma ai calcolatori elettronici era avvezzo: quando scrive su Mind è a Manchester a lavorare su Mad’m. Aveva anche già studiato applicazioni capaci di esibire “intelligenza”; Turochamp era un programma per giocare a scacchi che aveva ideato (solo su carta) nel 1948 insieme a David Champernowne.

Insomma, la domanda “possono le macchine pensare?” era nell’aria. Come risponde Turing?
Evita di infognarsi nella definizione di macchina e di pensiero e propone invece un gioco di società. eccolo nella versione originale.

In una stanza stanno A e B, un uomo e una donna. Una terza, C, sta fuori e deve indovinare chi fra A e B è l’uomo e chi la donna ponendo ai due domande a piacere; A e B devono rispondere, ma con obiettivi opposti: A per indurre C in errore, B per aiutarlo. Per non dare indizi, i tre comunicano con biglietti scritti a macchina.
Ripetendo il gioco più volte, arriveremo a stabilire la percentuale con cui C indovina.

Bene – dice Turing – ora, invece di chiederci se le macchine possono pensare, chiediamoci cosa dovremo concludere il giorno in cui, sostituendo A con una macchina (senza che C lo sappia, ovviamente), scopriremo che C indovina più o meno la stessa percentuale di volte.

Quando succederà dovremo per forza ammettere che le macchine possono comportarsi come le persone, incluso il pensiero e la punta di malizia che il gioco richiede. Per Turing non ci sono se: prima o poi accadrà. Qualche pagina avanti azzarderà anche una previsione sul quando.

Un Turing divertito e divertente ha già previsto tutte le obiezioni

L’articolo di Turing continua con la descrizione dei progressi che si stanno ottenendo con i calcolatori elettronici. Per Turing, sono progressi che fanno bene sperare, ma si possono ovviamente porre obiezioni. Un Turing divertito e divertente le ha già previste, accettandone sia di principio sia sul gioco da lui proposto. E argomenta per confutarle una per una.

Obiezione teologica. Le macchine non pensano perché non hanno l’anima. Confutazione. Il buon Dio quando si è accorto che saremmo stati in grado di pensare ci ha dato un’anima e da allora noi pensiamo. Quando vedrà che le macchine saranno in grado di pensare darà loro un’anima e anche le macchine penseranno.

Obiezione dello struzzo. L’idea che le macchine possano pensare è terrificante, speriamo che non lo possano mai fare. Confutazione. Questa obiezione è così poco sostanziale che più che una confutazione richiede una consolazione.

Obiezione matematica. Matematici come Church e Turing hanno evidenziato i limiti delle macchine, per esempio dimostrando che l’Entscheidungproblem non può essere risolto. Nel gioco possiamo sfruttare tali limiti per indurre in errore la macchina e riconoscerla. Confutazione. A parte che sarebbe curioso vedere cosa risponde il concorrente umano, un errore non basta per concludere che le macchine non possano pensare: quanti sbagli commettiamo nella nostra vita di pensanti?

Obiezione della coscienza. Il pensiero è cosciente e le macchine non possono avere coscienza di sé. Confutazione. In realtà ognuno ha coscienza di sé, ma non può dire niente degli altri; accettiamo che tutti siano coscienti per una beneducata convenzione sociale senza la quale saremmo costretti a una visione solipsistica del mondo che non piace a nessuno. Sarebbe buona creanza adottare la stessa convenzione anche nei confronti delle macchine.

Obiezione delle varie disabilità. Le macchine non possono essere gentili, apprezzare fragole e panna, esibire comportamenti diversi, etc. etc. tutte cose per le quali le potremo sempre distinguere. Confutazione. In realtà quello che possono fare le macchine dipende dalla loro programmazione, e la quantità di comportamenti che possono esibire dipende dalla quantità di programmi che possono mantenere in memoria, quindi, da una dimensione fisica che la tecnologia aiuterà a far crescere.

Obiezione di Lady Lovelace. Ada Byron-Lovelace, nel suo commento alla Macchina Analitica di Babbage, afferma che le macchine possono fare solo ciò che viene loro “ordinato”. Confutazione. Beh, tutto sta nella nostra capacità di “ordinare” alle macchine di imparare… Una interpretazione alternativa della posizione di Lady Lovelace è “le macchine non potranno mai sorprenderci”, ma allora si ricade nell’obiezione delle varie disabilità.

Obiezione della continuità. Il sistema nervoso umano è continuo, fatto di neuroni e sinapsi, le macchine sono invece digitali quindi discrete; una differenza sostanziale che preclude alle seconde la possibilità di imitare il primo. Confutazione. Molte macchine analogiche (regoli, planimetri, analizzatori differenziali) sono già accuratamente simulate da programmi eseguiti su calcolatori digitali, inclusi gli errori e le tolleranze che affliggono le prime. Quindi le differenze fra continuo e discreto non costituiscono un ostacolo.

Obiezione del comportamento imprevedibile. Le macchine sono deterministiche, il loro comportamento è sempre prevedibile. Confutazione. È vero, le macchine sono deterministiche, ma ci illudiamo di prevedere il comportamento delle macchine perché conosciamo il loro programma. Ma il gioco prevede solo di comunicare con A e B. Turing afferma di aver scritto un programma di neanche 1000 istruzioni che risponde a un numero con un altro numero; sfida chiunque a comprendere la regola seguita dal programma basandosi solo sul dialogo con il calcolatore.

Obiezione della percezione estrasensoriale. Le macchine non possono avere poteri telepatici o di precognizione, quindi nel gioco sarebbero facilmente battute da contatti di questo tipo fra gli umani coinvolti. Confutazione. Questa è chiaramente una violazione delle regole del gioco: tali doti falserebbero anche i risultati del gioco originale in cui si deve scoprire chi è uomo e chi è donna.

Turing era ottimista, secondo lui già da una decina di anni avremmo dovuto essere amabilmente confusi con le macchine. Invece no, i chatbot sono sempre più sofisticati, ma ancora non convincono. E anche il Loebner Prize sembra aver perso un po’ di smalto.

Il programma di “Un mese con Turing e l’Enigma”, con le presentazioni usate negli incontri
Gli altri articoli della serie “Quattro chiacchiere sul calcolo, senza fare conti”

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Pubblicato il: 29 marzo 2015

Argomenti: Cultura-Tech

Visto da: 1139 persone

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