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Di Sbieqo Io sono Mateusz, Maciej Pieprzyca (2015)

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Tratto dalla vera storia di Przemek Chrzanowski, il film parla di Mateusz, un bambino cerebroleso dalla nascita. A interpretarlo Kamil Tkacz che con un lavoro attoriale costruito con gli sguardi e con le mani ci cattura


locandina_mateuszNon meraviglia che questo film, tratto dalla vera storia di Przemek Chrzanowski, abbia vinto i maggiori riconoscimenti, per l’anno 2014, del Polish Film Awards, del Festival des Films du Monde di Montreal e dell’International Film Festival di Chicago.
Mateusz è un bambino cerebroleso dalla nascita. Vive in una bella famiglia, modesta ma affettiva, con una coppia di genitori molto presenti e accoglienti, un fratello e una sorella. Mateusz non parla, non cammina, non può mangiare da solo. Si sposta contraendosi sul pavimento, come in una sorta di gattonare straziante. Kamil Tkacz, il piccolo attore che interpreta Mateusz bambino, è eccellente. Sono gli sguardi, con le loro ostentate strizzate di occhi, con le palpebre che si dilatano per cercare una forma minima di comunicazione, a rendere il magnifico lavoro attoriale. E non solo. Anche le mani, storpiate in un eccentrico rattrappirsi, il corpo, sempre piegato in due, i piedi, dalle dita dilatate in spasmi muscolari. I due attori sono fantastici: Dawid Ogrodnik, nuovo talento del cinema polacco, rende lo spessore del personaggio, ci cattura e ci fa provare una forte empatia. È Przemek il protagonista della storia vera: e nei titoli di coda lo vediamo assieme a Ogrodnik, e capiamo che devono essere stati molto assieme, l’attore deve aver assimilato i suoi modi di muoversi, di guardare, di sorridere e di mugugnare.

 

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La storia però ci rileva che Mateusz non è davvero un vegetale, come si crede. La voce over – e l’invenzione dei due statuti del personaggio è geniale – è proprio quella di Mateusz, della sua voce, se potesse averla, della sua mente, che apparentemente sembra non capire, non collegare, non ragionare. Ma la voce si fa presente assai, stabilisce collegamenti, commenti, battute sulla scena.

mateus4Mateusz sta ore e ore alla finestra – un cinema nel film, una vetrina d’osservazione della vita da cui è escluso – guarda, osserva, elabora, impara, si innamora e prova emozioni. La madre – un’ottima Dorota Kolak – è l’unica che crede che il figlio capisca, in fondo, dentro di lui. Avrà ragione: sarà una collaboratrice della casa psichiatrica dove Mateusz sarà rinchiuso – i momenti più tristi e potenti del film – a legittimare questa novità. E allora Mateusz rinascerà, finalmente, e potrà affermare, attraverso strani segni usati per comunicare, che “lui non è un vegetale!”.

mateuz 3Il film risulta a tratti ironico, a tratti drammatico. Ci sono scene bellissime e toccanti, in cui la macchina da presa sembra accarezzare il personaggio e la fotografia si fa poesia di immagini. Bella anche la divisione in capitoli tematici sottotitolati con il linguaggio dei segni di Mateusz. Maciej Pieprzyca dedica la pellicola a Ewa Pieta, colei che ha realizzato un primo documentario su Przemek.

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Pubblicato il: 16 marzo 2015

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

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