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Alberi come monumenti: riflessioni dopo la tempesta

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La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter


 foto di copertina: Paolo Vezzoni  

«Tra i rami dei grandi alberi mi sono arrampicato per guardare il cielo, dietro ai loro tronchi mi sono nascosto al nemico o ho aspettato una preda, con la loro frutta mi sono sfamato, con il loro legno mi sono riscaldato; a loro devo certo la mia vita dopo la nascita. Sarà per questo che quando mi avvicino a uno di loro sento commozione dentro il petto; e quando gli sono accanto, senza farmi vedere lo accarezzo. Dai più belli ripongo in tasca un pezzetto di corteccia, o una foglia, o una briciola di radice ed è come se avessi in dono un poco della loro secolare vita». Tornano alle mente gli scritti di Mario Rigoni Stern, primo tra tutti Arboreto salvatico (1991), dopo la tempesta di vento della scorsa settimana che ha abbattuto un numero considerevole di alberi ad alto fusto. Alcune zone della regione sono state particolarmente colpite: in Versilia più della metà dei pini domestici (quelli marittimi hanno maggiormente resistito) sono caduti a terra provocando seri danni, e il paesaggio – già gravemente compromesso dalla cementificazione selvaggia – ne è uscito trasformato.

A poche ore dall’accaduto, un noto personaggio televisivo nonché imprenditore del litorale ha lanciato una serie di tweet, significativi non tanto per l’uso spregiudicato della punteggiatura: “I giornali stranieri parlano di tragedie… non roviniamo la stagione per qualche albero caduto, si ripiantano…”. E ancora: “Non creiamo allarmismo non è il Belice non è una catastrofe alla Versiliana sono caduti il 5% dei pini. Non scoraggiamo i turisti”. Infine “la Versilia non è distrutta solo ferita, prepariamoci per la stagione non spaventiamo i turisti”.

Quante storie, avrebbe potuto dire con maggiore eleganza, sono solo alberi! Altre le cose serie: gli affari. L’autore di simili messaggi non merita la minima attenzione, ma i mass media non si sono comportati molto diversamente e hanno trattato la questione soffermandosi più sui disastri provocati dalle piante sradicate che sulla tragedia della loro decimazione: alberi come “proiettili”, al pari di cartelli stradali e tegole, sparati dal vento su cose e persone. Certo hanno rappresentato un enorme pericolo, ma poco o niente si è parlato delle cause di quanto accaduto, dell’ennesimo evento climatico eccezionale, delle radici sempre più deboli delle piante, della manutenzione che ormai nessuna amministrazione comunale si può permettere.

10929912_664271300350344_7912835921880298767_nfoto: Paolo Vezzoni

I benefici dovuti alla presenza di alberi nei centri urbani – abbattimento dell’inquinamento, abbassamento della temperatura, ombreggiamento – già a cose normali vengono dimenticati da noi tutti. Basta che arrivi l’autunno e, per prevenire la caduta delle foglie che richiede personale e fondi, si procede ormai al taglio drastico delle chiome, ottenendo un indebolimento generale del fusto. In presenza di un grande albero, poi, è diffusa la prassi del taglio per contenere i rischi dalla caduta di imponenti ramificazioni, che effettivamente possono comportare responsabilità civili e penali per il possessore (o custode) dell’albero.

La giurisprudenza ha solo di recente elaborato il concetto dell’obbligo di tutela in particolare per quanto riguarda la sicurezza stradale. Ciò comporta, per chi apre una strada o tollera la viabilità pubblica sul proprio territorio, il dovere di prendere provvedimenti necessari per proteggere terzi, il che implica il mantenimento di uno stato di sanità degli alberi. Si ha dunque l’obbligo di prevenire i danni potenziali causati a persone e cose: il responsabile dell’albero non può azzerare i rischi di caduta o schianto, ma deve far di tutto per ridurli. Per questa ragione si procede all’abbattimento di piante lungo vie di percorrenza più o meno trafficate: così su Viale Dannunzio che porta al mare, così sulla Statale 12 del Brennero, ove due anni or sono stati tagliati 270 platani colpiti dal “cancro rosso” e da “carie”. Di quegli alberi rimangono i ceppi, perché ad oggi nessuno ha pensato di ripiantare nuovi esemplari, tanto più in strade ritenute “altamente panoramiche” dal Touring Club.

Tutto questo accade nonostante la legge n° 10 del gennaio 2013 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani) che all’articolo 7 prevede disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, con obbligo di censimento da parte dei comuni e l’istituzione dell’elenco degli alberi monumentali d’Italia.

Ma cosa s’intende per albero monumentale? La legge ne definisce la natura:

  •  alberi ad alto fusto isolato o facenti parte di formazioni boschive naturali o artificiali ovunque ubicate […] che possono essere considerati come rari esempi di maestosità e longevità, per età o dimensioni, o di particolare pregio naturalistico, per rarità botanica e peculiarità della specie;
  •  filari e alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani;
  • alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale, quali ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private. La legge affida ai comuni il compito di realizzare un censimento degli alberi monumentali presenti nel territorio e impone alle regioni l’obbligo di redigere, sulla base di elenchi comunali, il catalogo regionale di detti alberi, da trasmettere al Corpo forestale dello Stato, il quale è chiamato a gestire l’Elenco degli alberi monumentali d’Italia.

Già prima di questo intervento legislativo, in alcune città italiane si procedette al censimento degli alberi monumentali. A Pisa, invece, così come in molte altre città, si è continuato con incredibile leggerezza ad abbatterli. Si ricordi il gingko biloba ultracentenario, tagliato nel 2011 in Piazza Vittorio Emanuele, come denunciato a suo tempo da WWF e Legambiante; nella piazza furono tagliati anche pini domestici e una magnolia, che avevano miracolosamente resistito ai sette anni di cantiere per la creazione dello straordinario parcheggio sotterraneo.

Nel grande spazio tra la Stazione Centrale e Corso Italia si è andati a creare un’area quasi del tutto priva di ogni forma 89407295di vita vegetale. Non diversamente è accaduto tra Largo San Zeno e via Vittorio Veneto, dove trenta alberi storici sono stati tagliati semplicemente per dare visibilità al “restauro” (assai discutibile) delle mura medievali. È bene sottolineare che le piante non costituivano un pericolo né per i passanti né per le mura, ma un ostacolo alla vista di queste ultime. Cancellare filari di platani, alberi centenari in mezzo a una piazza o in piccole aree verdi corrisponde ad abbattere un edificio storico o un’opera d’arte.

Questo dice la legge sopra ricordata, che vincola le piante come fossero monumenti e
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impegna gli enti locali al loro censimento, nonché alla loro manutenzione, prevedendo una sanzione amministrativa di carattere pecuniario a fronte del loro abbattimento o danneggiamento. E ancora: Regioni e Comuni – ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e delle risorse disponibili – sono tenuti a promuovere l’incremento di spazi verdi urbani, cosa che dovremmo cominciare a reclamare con forza. Così come dovremmo chiedere che quando si procede all’abbattimento di ogni pianta, magari malata, si progetti contestualmente la sua sostituzione.

Scriveva Rigoni Stern: «E come vorrei che attorno a essi venisse alzato un recinto sacro a protezione. I secoli e le stagioni hanno fin qui rispettato questi alberi, non siano gli uomini a farli morire come già è capitato».

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Pubblicato il: 15 marzo 2015

Argomenti: Cultura, Pisa

Visto da: 1540 persone

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