MENU

Tra libertà di culto, Costituzione e fallimenti referendari. Gino Logli (FI/Pdl) sulla moschea

logli

Pubblichiamo di seguito un lungo intervento del consigliere Gino Logli sulle implicazioni di un progetto come quello della costruzione di una moschea. Tra diritti prevalenti, libertà di culto, questioni urbanistiche e foglie di fico


Con troppa superficialità si avviano campagne che apparentemente godono di un diffuso consenso, ma che sarebbe bene valutare in tutti gli aspetti e nella portata culturale, politica e sociale.

Alla fonte di una campagna politica deve essere messa una convinzione profonda, un’adesione d’animo, che non può rifarsi a ciò che conviene o a ciò che pare politicamente corretto o utile.

Senso di repulsione

È questo che mi coglie quando avverto che qualcuno mette in discussione la possibilità di una persona di pregare. Non mi capita per il diritto di parola o di associazione; ma la libertà religiosa mi brucia. Mi indigna l’offesa al Sacro, in qualsiasi espressione. Trovo repulsione per chi tenta di ostacolare l’esercizio religioso. Repulsione che non si estende all’individuo o al gruppo, ma il sentimento è forte, univoco ogni qualvolta mi sono trovato al confronto con l’offesa, con la derisione o con il tentativo di limitare le espressioni del Sacro.

Non è certo il solo sentimento che muove la necessità di chiarezza. In realtà ci troviamo di fronte ad enormi questioni di valore politico, sociale e culturale; a più ben modeste questioni urbanistiche ed edilizie; a questioni di ordine pubblico e di sicurezza.

Cos’è una moschea

La moschea è indiscutibilmente luogo religioso e luogo politico

È il luogo dove si incontra la comunità. Vi si raduna la comunità per la preghiera del venerdì, che è seguita da una riflessione dell’imam. Riflessione legata in genere alle questioni di attualità, siano esse politiche, sociali o morali. È diversa dalla semplice sala di preghiera che conosciamo come modello diffuso in Italia, che per altro esiste anche nei paesi musulmani. La moschea sorge su un luogo che diviene per questo sacro nell’area di preghiera. È in genere un luogo polifunzionale e dotato di una varietà d’ambienti: centro culturale e sociale, scuola coranica.

È cronaca che gli incidenti nelle città arabe accadono spesso quando i fedeli lasciano la moschea dopo la preghiera del venerdì. I governi sorvegliano le moschee dove arringano gli imam ritenuti pericolosi. Gli stessi fedeli si recano alla moschea dove parla l’imam “preferito”.

La moschea è indiscutibilmente luogo religioso e luogo politico. Trattare l’argomento moschea esula dalla semplice argomentazione sulla manifestazione della libertà religiosa, ma include una riflessione sulla libertà di organizzazione, di riunione e di libertà di espressione.

Questione costituzionale

Non sono un particolare estimatore della Costituzione italiana. La Costituzione è però la tavola di convivenza primaria. In ogni caso la mia scarsa stima non è certo legata al dettato delle libertà. Quelle costituzionali sono regole che siamo chiamati ad accettare, anche volendole lecitamente cambiare.

La libertà di culto è piena. Trova unico limite nella violazione della legge

Se l’opposizione alla costruzione di una moschea fa riferimento non a questioni urbanistiche, edilizie o sanitarie, è evidente che si può porre in contrasto diretto ed insanabile con le disposizioni di cui agli artt.8,19 e 20 della Costituzione. La libertà di culto è piena. Trova unico limite nella violazione della legge. La previsione di cui al comma 3 dell’art. 8, dove sono previste intese bilaterali tra lo Stato e i rappresentanti di una confessione, non è un limite all’espressione religiosa, ma una mera opportunità di regolamentazione di rapporti; su questo concordano dottrina e giurisprudenza, ma anche la storia delle intese, quelle che esistono e quelle che non esistono.

Le norme sui diritti della Costituzione italiana sono un comune sentire nei paesi dove sono diffusi i diritti di libertà. Si trovano nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (artt. 2 e 18) e all’art.9 della “Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, che è legge italiana dal 1955. Si potrebbero aggiungere una serie quasi infinita di riferimenti, evitiamoli.

È evidente che opporsi alla libera manifestazione del culto è semplicemente illegale. Richiamarsi, per manifestare la contrarietà alla costruzione di un luogo di culto a fumosi principi di reciprocità, dicendo che in Arabia Saudita non è possibile costruire una chiesa cristiana quindi non facciano costruire moschee, è idea francamente puerile, in evidente contrasto con i principi di libertà che ci siamo dati. Sarebbe serio contestare non la coda, ma la testa dei principi, la Costituzione stessa.

Parallelamente se la moschea è il luogo delle attività polivalenti, così sono molteplici le libertà in gioco. La libertà di opinione, di organizzazione e di riunione godono di copertura costituzionale (artt. 2,3,17,18 e 21) e della copertura data dall’adesione a trattati internazionali che l’Italia è chiamata a rispettare, art. 10 della Costituzione.

Limite alla libertà religiosa, in ogni sua espressione, si può solo ipotizzare a fronte di una tutela di principi di pari grado; di una palese e fattuale situazione che si concretizzi con un’azione capace di provocare danno alle altre libertà garantite. Una lesione di proporzione tale da giustificare la compressione del diritto costituzionale.

Questione urbanistica

Aprire una moschea ha un’implicazione urbanistica. La nostra normativa arriva con difficoltà sull’argomento

Premessa: la foglia di fico. Tradizionalmente l’albero di fico è l’albero del latte. Assunto come l’albero della sessualità colpevole con le sue foglie che nell’arte medievale coprono il sesso di Adamo ed Eva, i rei del Peccato. Così l’urbanistica è spesso la foglia di fico di chi vuol dire “no moschea” come “no Islam”, senza offendere il dettato costituzionale. Chi usa la foglia di fico dell’urbanistica con questa intenzione pecca, inganna ed offende in scia con i primi utilizzatori.

Però il problema esiste. La Regione Lombardia ha recentemente legiferato in materia di “pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi” con la legge n.2 del 3 febbraio 2015. È una legge che ha l’odore dell’albero di fico, che come si sa cresce nei luoghi più impensati. Sarebbe però ottuso negare l’esistenza del problema. Recenti sentenze del TAR e del Consiglio di Stato hanno distinto tra l’occasionale luogo dove si possono svolgere preghiere ed un luogo di culto (TAR Veneto sez. II sentenza 27 gennaio 2015 n. 91; Consiglio di Stato sez. I parere 2489/2014 del 29 luglio 2014), salvando i circoli privati che svolgono funzioni sostitutive di luoghi di culto inesistenti.

Aprire una moschea ha un’implicazione urbanistica. La nostra normativa arriva con difficoltà sull’argomento. L’Italia, con la sua tradizionale adesione al Cattolicesimo, ha chiese che sono luoghi di vicinato. Le implicazioni urbanistiche sono attenuate, oltre che dalla diffusa tolleranza, dal fatto che il numero delle sedi di culto è così alto da risultare in genere ininfluente come carico urbanistico.

Non a caso il luogo di culto è trattato come standard nel DI 1444 del 1968, come una qualsiasi struttura di pubblico interesse con una valenza urbanistica residuale. Siamo nelle dotazioni di urbanizzazione secondaria, come conferma la recente legge regionale della Toscana, legge n.65 del 2014 art. 62 c.5. Così pure la presenza tradizionale o la costruzione di luoghi di culto non cattolici (templi Valdesi o Protestanti in genere, sinagoghe) non hanno mai costituito un problema. Queste minoranze religiose non muovono né le masse, né soprattutto le preoccupazioni che accompagnano le moschee, nonostante che, ad esempio, gli Ortodossi in Italia siano potenzialmente più dei Musulmani e i soli Pentecostali siano mezzo milione con oltre mille luoghi di culto.

Tasso di adesione al culto più modesto o basso, tolleranza tradizionale, concentrazione geografica – si pensi ai Valdesi – accoglienza in chiese cattoliche, gli Ortodossi, tutto mitiga l’impatto. Così non è potenzialmente per l’Islam, una religione dalla esplosiva valenza politica.

Si calcola che, tra regolari e irregolari, siano due milioni in Italia le persone che provengono da paesi islamici o di forte presenza islamica. Come dimostrano gli Albanesi, che sono la minoranza non comunitaria più numerosa tra gli stranieri in Italia, non tutti coloro che provengono da paesi musulmani lo sono, né sono praticanti; ma il numero di osservanti è potenzialmente alto. La necessità di rispondere alla domanda di luoghi di culto islamico è una realtà. Non esiste un elenco di sale di culto e moschee in Italia.

Come si ricordava una cosa è un luogo privato, di una associazione, dove episodicamente o anche abitualmente, un numero limitato di soggetti svolge un culto. Altra cosa è un luogo pubblico, conosciuto, fruibile potenzialmente da chiunque, dotato di spazi e servizi parareligiosi, appunto una moschea.

In Italia sono sette, quattro costruite come tali e tre riadattate. I luoghi di culto forse seicento, tra cui quello di Pisa. Il Ministero dell’Interno ha classificato circa quattrocento luoghi di culto islamici. La mancanza di luoghi di culto attrezzati è un problema, specie il venerdì di preghiera.

Ribadiamo che la Costituzione garantisce la libertà di organizzazione, di espressione e di educazione, di cui è titolare per prima la famiglia per i minori. Non è quindi contestabile che intorno alla moschea, intesa come area sacra di preghiera, si possa costruire, come è tradizione, luoghi di aggregazione e studio.

La normativa regionale e comunale ha il dovere di dare risposte. Soprattutto i comuni. La normativa regionale può anche non trattare specificatamente la materia, accomunando l’edifico di culto ad altre attrezzature, ma le amministrazioni comunali hanno l’obbligo di intervenire con specifiche risposte territoriali.

Lo strumento è quello urbanistico generale. Debbono essere individuate aree specifiche di insediamento e si devono stabilire gli standard aggiuntivi che rispondano ai carichi urbanistici prevedibili, che non sono ad esempio quelli di una chiesa cattolica di nuova costruzione in aree di ampliamento urbano.

Essendo la moschea una struttura “rara” è ipotizzabile un carico rilevante che deve essere in qualche modo misurato. La risposta può trovare ovviamente sede in strumenti intercomunali. Per le moschee si aprono questioni già emerse in altre occasioni. È esperienza comune che il luogo di culto cattolico è affiancato da spazi per attività di tipo associativo, culturale e ricreativo. Le parrocchie anni ’50 erano dotate spesso di cinema.

Le localizzazioni debbono rispondere a criteri di accessibilità, con viabilità, con parcheggi ed aree compatibili con l’intorno. L’uso di trasformare capannoni in aree industriali o artigianali in luoghi di culto è pratica scorretta; non a caso esistono censure in sede di giudicati amministrativi. Così dal punto di vista edilizio è dannoso l’uso difforme, improprio di appartamenti o ampi spazi privati nei centri città. Adibendo questi locali a sedi di culto anche occasionale, come salvati dai TAR, si favorisce una concentrazione antropica che contrasta con un armonico inserimento di una comunità all’interno della città, anzi porta disagi. Così facendo non si risponde spesso a criteri minimi di sicurezza, si pensi alla normativa antincendio ed igienica in generale. Sono luoghi aperti al pubblico e a questo non danno adeguata risposta. Inoltre ingenerano diffidenza e la sensazione di incidere negativamente sulla rendita edilizia.

Ordine pubblico e sicurezza

L’art. 8 della Costituzione afferma la libera organizzazione della pratica religiosa, ponendo il limite del contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. L’art. 19 richiama il limite dei reati contrari al buon costume. Chiaro il primo limite; oscuro, indefinito il secondo. È pacifico che il
diritto costituzionale deve essere difeso sulla soglia minima di imposizione e massima di libertà possibile. La moschea non può essere di per sé considerata un problema di ordine pubblico.

L’individuazione di un’area attrezzata per il culto religioso agevola l’applicazione delle norme di polizia in difesa della sicurezza e dell’ordine pubblico

Mal si presta per la moschea il comma 2 dell’art. 20 del Regolamento di esecuzione delle leggi di PS che recita : “È vietato l’uso delle chiese e degli altri luoghi sacri per manifestazioni estranee al sentimento religioso o per scopi non attinenti al culto”. Questa norma è costruita sulla chiesa. Questo non può essere un ostacolo all’esercizio delle libertà costituzionali, a cui la norma richiamata si pone a livello immensamente inferiore. D’altra parte è evidente che questa norma non ha mai evitato l’uso diffuso delle chiese per discutere di questioni ben diverse dalla religione.

È pure necessario osservare che avere un luogo di culto attrezzato, dove è evidente come si arriva, quali sono le attività che si svolgono, sapere chi lo gestisce sono condizioni certo migliori in termini di sicurezza pubblica di quanto non offra un vicolo del centro storico, dove in una o più stanze, con atti di dubbia legittimità, si è adibita una sala di preghiera.

Esistono ben più pregnanti norme che tutelano contro l’incitamento, l’acclamazione o l’uso della violenza. Come già accennato non è accettabile coinvolgere i Musulmani in Italia con il dibattito che ha sede nel diritto internazionale. Si evidenzia che nei paesi di maggioranza musulmana talvolta esistono norme restrittive nei confronti delle altre pratiche religiose. Non ha riscontro logico, né normativo la tesi che in Italia dovremmo applicare pari norme. Questa tesi non collide con la nostra coscienza né con la nostra tradizione giuridica. Una pratica del genere traslata sul piano dei diritti politici o economici sarebbe immediatamente stridente.

Anche la polemica sulla parità di genere ha poco senso. In molti paesi dove prevale la religione musulmana esistono norme dirette o indirette che in Italia suonerebbero come pura discriminazione nei confronti delle donne. Da questo far discendere la tesi che si deve contrastare i diritti dei cittadini musulmani in Italia è una pura aberrazione. Si chiede l’adesione pratica, fattuale al nostro sistema sociale normativo; non l’adesione spirituale. Il musulmano in Italia deve rispettare i principi del diritto italiano: uguali opportunità e diritti.

D’altra parte i cattolici hanno diritto a contrastare, con le idee e le azioni, legalmente svolte, pratiche disapprovate come ad esempio l’aborto, senza per questo dover temere di essere condannati a non essere curati dalle strutture sanitarie in caso di malattia.

Il patrimonio religioso è pieno di ostacoli interpretativi. Ad esempio sulle donne ci sono alcune letture di San Paolo che difficilmente si potrebbero promuovere in forza dei diritto costituzionali. Non è l’unico. Tanti Padri della Chiesa si macchierebbero di tale “reato”, se in vita. Nonostante questo è patrimonio del Cattolicesimo la centralità della figura mariana ed è al Cattolicesimo che si devono riflessioni sul diritto dell’uomo come singolo che hanno dato la svolta alla nostra vita.

È da condannare ogni pratica legislativa, come ad esempio la legge c.d. Scalfarotto, che tende a rimettere in circolo il reato di opinione. Vale per i Cattolici come per i Musulmani. Non mi piace degradare un principio religioso ad opinione, ma credo che l’esempio sia valido.

Quindi proprio l’individuazione di un’area attrezzata per il culto religioso agevola l’applicazione delle norme di polizia in difesa della sicurezza e dell’ordine pubblico, della sanità e dell’igiene nelle città. Vorrei osservare che è ambigua la norma di cui all’art.1 punto 2 quater delle legge n. 2 del 2015 della Regione Lombardia ove si prevede una consulta d’esame sui valori aderenti alle finalità istituzionali e costituzionali delle associazione religiose che vogliono costruire luoghi di culto. Mi ricorda vagamente la tesi di religione di stato.

È lesivo del diritto alla protezione delle scelte personali imporre telecamere puntate agli ingressi collegate con gli uffici di polizia locale previste da una norma della legge lombarda, art.1 lettera c punto 5 lettera e. Una tale norma scritta per sindacati o partiti politici sembra adatta alla ex DDR.

Il caso Pisa

Il Comune di Pisa, con delibera consiliare n.11 del 4 aprile 2013, nell’ambito di un più vasto provvedimento di variante al regolamento urbanistico, prevedeva una variante da zona residenziale a area per edifici di culto nella zona di via del Brennero. Il terreno, fonte stampa locale, sarebbe di proprietà di un’associazione che ha previsto la costruzione di una moschea.

Il gruppo del PDL, da cui proviene FI, ha votato contro il provvedimento. Il Consiglio Comunale nel 2014 è stato rinnovato. Al momento della scelta pochi si schierarono aprioristicamente contro la moschea. Il voto contrario del PDL al provvedimento riguardava le scelte urbanistiche di una variante a grande raggio, di sapore preelettorale. È difficile pensare peggio di quello che penso dei provvedimenti urbanistici che hanno interessato questa Città negli ultimi decenni.

Non trovo nessuna specificità per la questione della scheda norma che riguarda la moschea: improvvisata, mal collocata. Per altro l’edificabilità è stata aumentata da nuova scheda correttiva presentata in aula nel corso della seduta consiliare. Non c’è uno studio sul carico urbanistico che porta la moschea. Non ci sono documentazioni di supporto negli uffici comunali. Si sarebbe preso semplicemente atto della richiesta verbale dell’associazione attraverso contatti in sede politica.

Non torna molto, ma non ci furono grosse polemiche. L’atto passò distrattamente. Tanto distrattamente da non essere argomento di campagna elettorale, nonostante che il centro islamico fosse citato, come importante realizzazione, nel programma di mandato del sindaco uscente poi rieletto, Filippeschi, Parte I capito V punto 6 e parte II capitolo V punto 1. Tardivamente, a distanza di mesi, viene creato un “Comitato No Moschea”, movimentato dall’associazione giovanile di FI. È un’iniziativa ancora larvale. Sono state raccolte firme informali con l’ipotesi di chiedere un referendum cittadino.

I tipi di referendum previsti dalla normativa comunale sono tre: propositivo, abrogativo e consultivo, Statuto comunale art.56 c. 1. Il primo tipo di referendum non è utilizzabile. Si potrebbe invece supporre di abrogare la delibera comunale o più semplicemente la scheda urbanistica.

Si potrebbe utilizzare il referendum consultivo. La prima ipotesi è possibile. Probabilmente non si potrebbe chiedere l’abrogazione dell’intera delibera, essendo i piani regolatori esclusi dalle possibili richieste referendarie, art. 59 c. 1 lettera a dello Statuto. Si potrebbe chiedere l’abrogazione della singola scheda.

L’ipotesi è una foglia di fico. A mio avviso moralmente poco accettabile. Si porrebbe un quesito nella realtà strumento per ottenere uno scopo diverso dalla contestazione urbanistica. Se approvato aprirebbe una questione amministrativa rilevante. Si può ledere in questo modo i diritti di un soggetto privato? Ci troveremmo di fronte ad una maggioranza di votanti che danneggia un soggetto in base ad un indistinto insieme di elementi e di paure religiose, culturali, sociali, patrimoniali ed urbanistiche. Non me la sentirei di dare seguito amministrativo ad un referendum del genere.

L’ipotesi del referendum consultivo è irricevibile: “Vuoi tu che sia costruito un luogo di culto islamico?” Contrasta con la Costituzione e le normative internazionali a cui orgogliosamente aderiamo.
Ecco che la soluzione referendaria è a mio avviso impraticabile o almeno ingannevole.

Conclusione

Si può ragionare su qualsiasi tecnicismo. Si può essere vittime di ogni istinto politico. Basta onestamente dire cosa si vuole. Si vuole impedire che un gruppo di persone di religione musulmana si
rechino a pregare in una struttura per questo costruita? Si vuole impedire a persone di religione musulmana di aver un luogo dove insegnare a leggere il Corano, magari in arabo?

Si vuole impedire ad una comunità di cittadini di religione diversa dalla mia di riunirsi il venerdì o in qualsiasi altro giorno della settimana in un luogo per discutere di cosa vogliono?
Non sono d’accordo.

Gino Logli

Download PDF

Scritto da:

Pubblicato il: 10 marzo 2015

Argomenti: Pisa, Politica

Visto da: 1233 persone

, ,

Post relativi

Una risposta a: Tra libertà di culto, Costituzione e fallimenti referendari. Gino Logli (FI/Pdl) sulla moschea

  1. avatar Valeria Antoni scrive:

    Un ottimo intervento questo di Gino Logli persona che ho imparato a conoscere nell’ultimo anno, seria e preparata. Pur non condividendo il suo percorso politico e religioso o spirituale fissa alcuni paletti molto seri e importanti in un dibattito che è diventato un totem qualunquista appartenete a un modo di fare politica becero. Grazie Gino perché come al solito riporti nell’alveo delle competenze un discorso abusato sia nella destra, che trova una facile breccia nella pancia della gente, sia nella sinistra buonista e di facili promesse sopratutto in fase elettorale.
    Valeria

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi paginaQ per email

Ciao!
Iscriviti alla newsletter di Pagina Q
Se lo farai ci aiuterai a far vivere l’informazione nella nostra città e riceverai la versione mail del quotidiano.
Naturalmente non cederemo a nessuno il tuo indirizzo e potrai sempre annullare la tua iscrizione con un semplice click sul link che troverai in ogni nostra mail.