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Walking in the city. Ovvero come distrarre il turista all’epoca del verybello

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Negli ultimi anni a Pisa, come in altre città, si è assistito a una proliferazione di una cartellonistica viaria, talvolta prolissa e sommariamente illustrata. Talmente diffusa e stratificata da renderne quasi impossibile una mappatura


di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti

Secondo una ricerca del maggio scorso a cura del Programme for the International Assessment of Adult Competencies il nostro paese è al primo posto in Europa per quanto riguarda il cosiddetto «analfabetismo di ritorno». Il 30% degli adulti italiani ha un rapporto sufficiente con lettura e scrittura, mentre il restante 70% si muove in un orizzonte ristretto, subendo quel che succede senza saper capire; i dati sono confermati dal rapporto Istat 2014, che certifica che quasi una famiglia su dieci (il 9,8%) non possiede alcun libro a casa. Tullio De Mauro, storico della lingua e già Ministro della Pubblica Istruzione, ha da tempo lanciato l’allarme: «Nel nostro paese, ai residui massicci di mancata scolarità si sommano fenomeni di de-alfabetizzazione propri delle società ricche», in cui accesso a internet e immagini (in televisione e in rete) la fanno da padrone. Il risultato è che «solo una percentuale bassissima di italiani è in grado di orientarsi nella società contemporanea.

In un simile desolante panorama i nostri centri-storici si stanno paradossalmente arricchendo di parole, cartelli turistici che forniscono brevi notizie sulla storia degli edifici o che ricordano la nostra posizione sulla mappa. Negli ultimi anni a Pisa, come in altre città, si è assistito a una vera e propria esplosione di questo fenomeno col proliferare di una cartellonistica viaria talvolta prolissa e sommariamente illustrata. Il fenomeno è tuttavia schizofrenico, poiché alla totale assenza di indicazioni stradali per il Museo nazionale di San Matteo fa eco uno sciame di segnalazioni per la Certosa di Calci. I primi a comparire sono stati i cartelli del progetto Luoghi della Fede, apposti dalla Regione Toscana tra il 1995 e il 2000 in concomitanza col Giubileo, con l’intento di creare «un museo diffuso per valorizzare il patrimonio storico-religioso del territorio». Quei cartelli presentavano notizie sintetiche ma dettagliate, che invitavano ad approfondire la conoscenza con una visita all’interno dell’edificio; il progetto si avvaleva inoltre di una preziosa collana editoriale di 25 guide cartacee.

In città la cartellonistica dei Luoghi della fede è stata di recente sostituita con 147 targhe, posizionate davanti a chiese e palazzi, 112 pannelli informativi dotati di QR code – che contengono informazioni destinate a essere lette tramite telefono cellulare o smartphone –, nonché 8 ingombranti totem multimediali disseminati nel centro storico e inaugurati trionfalmente la 1bis
scorsa estate
. Il nome del progetto è Walking in the city – sinistro presagio del recente very bello franceschiniano – ed è costato 1 milione e 700 mila euro (di cui 978 mila provenienti dai fondi PIUSS e 717 mila direttamente dall’amministrazione comunale). L’obiettivo è quello di «allargare la fruizione dei beni culturali» e fornire una serie di servizi utili: dove mangiare, dove dormire, quali eventi e intrattenimenti offre la città. Significativi i percorsi turistici proposti dai totem e visibili ugualmente sul sito del Comune: gli itinerari sono pensati per quartieri, con l’aggiunta di due percorsi autonomi (Lungarni e Stazione-Piazza dei Miracoli).

2Forse, in una realtà relativamente piccola ma particolarmente ricca com’è Pisa, individuare itinerari tematici (romanico, età moderna, arte contemporanea) avrebbe potuto dare maggiori spunti e stimoli al visitatore, valorizzando aree della città al di fuori delle normali mete turistiche. A una rapida disamina dei contenuti dei totem si evince come la percentuale di spazio dedicata a opere d’arte e monumenti sia assolutamente minoritaria rispetto alle informazioni sugli eventi d’arte e spettacolo, il meteo, i trasporti pubblici, la ristorazione, gli alberghi e gli esercizi commerciali in genere, informazioni oggi reperibili molto banalmente da tutti sui propri cellulari.

Nella logica della mercificazione, non stupisce allora che alcuni dati veramente significativi4 siano taciuti e non sia stato ritenuto importante segnalarli. Giusto per fare un esempio, per il solo quartiere di Sant’Antonio non si fa alcun cenno alla chiusura della chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno (da anni tristemente transennata), né di quella della Spina (ugualmente avvolta da ponteggi) e anche di fronte alla Domus Mazziniana non si forniscono informazioni sulla sua accessibilità. Poiché i dati almeno per altre iniziative vengono costantemente aggiornati, sarebbe auspicabile non illudere lo sventurato turista.

5Ma non è finita qui. Risalgono ad appena un anno fa le 9 bacheche in acciaio, in color rame, collocate agli incroci di Corso Italia con le vie Pascoli, Cottolengo, Carmine, Nunziatina e San Martino e di Borgo Stretto con le vie Rigattieri, Mercanti, San Francesco e San Lorenzo. Le bacheche sono state realizzate dal consorzio Pisa Viva con il contributo di Camera di Commercio, Comune, Provincia e Regione e il costo complessivo è stato di circa 35mila euro, provenienti per oltre metà da un finanziamento regionale e per la restante parte da enti locali e mediante autofinanziamento. Ciascuna bacheca contiene indicazione delle attività commerciali (64 quelle menzionate) presenti nelle strade cui si riferiscono: come se avessimo perso ogni capacità di girovagare e capire autonomamente, semplicemente osservando le vetrine, che quello che abbiamo di fronte è un negozio di abbigliamento e quella una farmacia.

Le poche notizie storiche inserite sono estrapolate direttamente da Wikipedia e i codici QR presenti anche in questo caso rimandano a pagine del sito del Comune di Pisa. Una app per smartphone e iphone, inoltre, permette di visualizzare il punto in cui ci troviamo sulla mappa. Al di là degli errori d’ortografia già oggetto di pubblica discussione e connessi al problema dell’analfabetismo di cui sopra, ci si chiede quale sia l’utilità di questa segnaletica, in cui il breve profilo storico è del tutto accessorio alla pubblicità degli esercizi commerciali ivi collocati.

Diverso è il caso dei 27 cartelli posizionati nel settembre scorso per il 70° della Liberazione. Si tratta della guida Via Libera, piattaforma grazie alla quale è possibile orientarsi nel territorio alla ricerca di luoghi significativi del movimento antifascista. Ogni cartello indica il sito in cui è avvenuta una particolare vicenda resistenziale o un fatto legato alla vita civile durante la dittatura. Anche in questo caso i cartelli di piccole dimensioni presentano dei “QR code” che rimandano a contenuti multimediali consultabili al sito http://vialibera.org.

3In definitiva la segnaletica turistica è talmente diffusa e stratificata da renderne quasi impossibile una mappatura. A volte si giunge a un paradosso che più che valorizzare sembra oltraggiare lo spazio urbano e il patrimonio artistico circostante: è questo il caso di Piazza Ulisse Dini, dove la figura bronzea del matematico è circondata da una selva di cartelli disposti a ogni altezza, comprese tre grandi mappe su piano orizzontale inclinato, di cui una pensata per i non-vedenti, ma interamente ricoperta di guamo. Come in questo caso, la fruibilità dei cartelli è fortemente inficiata da scritte, usura e vandalismi di ogni genere, tanto che i supporti metallici su cui sono infisse prestano migliore servizio come improvvisate rastrelliere verticali per biciclette.

Al di là dell’inquinamento visivo, le strade di Pisa sono invase da parole stampate o virtuali, in un’epoca in cui siamo sempre più disabituati a leggere e guardarci attorno. Perché continuare ad aggiungere insegne con cascate di parole, quando sarebbero più che sufficienti i codici QR? Quindici anni dopo i Luoghi della fede, la storia dell’arte è quasi esclusivamente al servizio del commercio: negozi, ristoranti, alberghi occupano lo spazio principale, i monumenti sono considerati alla stessa stregua di una gelateria, i musei di una pizzeria (G. Stolfi – A. d’Aniello, Musei come pizzerie, ossia del patrimonio culturale come merce, in L. Carletti – C. Giometti, De-tutela. Idee a confronto per la salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico, Pisa 2014, pp. 131-134). Forse sarebbe saggio rileggere le parole di Pietro Bembo che nel 1516, mentre stava per recarsi a Tivoli in compagnia di Raffaello e Baldassar Castiglione, scriveva: «Vederemo il vecchio et il nuovo, e ciò che di bello fia in quella contrada». Proprio quello che non siamo più capaci di fare: vedere con i nostri occhi e cercare di capire, magari con l’aiuto di una sana vecchia guida.

To be continued…

 

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Pubblicato il: 22 febbraio 2015

Argomenti: Cultura, Pisa

Visto da: 1414 persone

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2 risposte a: Walking in the city. Ovvero come distrarre il turista all’epoca del verybello

  1. avatar Francesco Cerrai scrive:

    A proposito di analfabetismo di ritorno: il guano (con la N) è un deposito di escrementi di uccelli marini (non di piccioni), Guamo (con la M) è invece vicino a Lucca.

  2. avatar Lorenzo Carletti scrive:

    Già, a proposito di “de-alfabetizzazione” non c’è male!

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