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Il mio primo film e l’ultimo del Monni. Intervista a Xiuzhong Zhang

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Xiuzhong Zhang è il protagonista di un episodio di Sogni di gloria, l’ultimo lungometraggio del collettivo di autori pratesi John Snellinberg, quelli della Banda del brasiliano. Il film arriva a Pisa per il Chinese Film Festival, che si inaugura mercoledì 18


Sogni di gloria arriva a Pisa per il Chinese film festival dopo il successo al festival del cinema indipendente di Roma, il premio a Houston e la selezione come unico film italiano al festival del cinema europeo di Pechino. In una Toscana segnata dalla crisi, dove le aziende tirano a sorte per scegliere quale sarà l’unico dipendente che lavorerà il mese successivo, Giulio è un giovane cinese iscritto al corso di laurea in enologia e viticoltura, fuori corso e un po’ perso. L’incontro con Maurino (Carlo Monni), vecchio giocatore di carte, gli regala una bella lezione di vita. Abbiamo intervistato Zhang, all’esordio sul set e alle prese con una banda di toscanacci capitanati dal Monni, scomparso poco dopo la fine delle riprese

Come il protagonista di Sogni di gloria, anche tu sei arrivato in Italia in cerca di fortuna?
Sono arrivato qui per studiare, nel 2009, a 21 anni, a Perugia, poi all’Accademia di belle arti di Firenze. Mi occupo di arte, espongo anche all’estero, scultura, installazioni e video arte. In Cina non ho mai recitato, ho cominciato qui a Prato con uno stage presso una compagnia italo-cinese al Metastasio. Sono stato selezionato e abbiamo messo in scena L’anima buona del Sezuan, di Brecht, che abbiamo portato anche a New York. Mi piace avere a che fare con la creatività, porto avanti una ricerca artistica approfondita sul linguaggio video, in televisione e nel cinema.

Zhang, come sei entrato in contatto con il progetto John Snellinberg?
Si è trattato di una coincidenza. Loro conoscevano una costumista del teatro Metastasio e le hanno detto che cercavano un attore cinese. Io lavoravo lì e le ha fatto il mio nome. Non avevo mai recitato per il cinema, solo al teatro. Ma il progetto mi interessava e ho fatto un provino, discutendo poi è venuto fuori che il personaggio di Giulio (che si chiama Kan ma italianizza il suo nome come fanno molti cinesi, Zhang compreso, che si presenta come Gianni, ndr) mi assomiglia molto. Anche io in quel periodo ero confuso, incerto sul futuro e sul mio posto nella società.

Giulio sembra un personaggio molto italiano, mantenuto dalla famiglia mentre bighellona all’università..
Succede spesso anche in Cina, tutto il mondo è paese. I cinesi fanno di tutto per i figli, comprano case e organizzano matrimoni, a volte il fenomeno è più visibile rispetto all’Italia, soprattutto per le famiglie ricche. Sono qui ormai da sei anni e vedo molte similitudini tra il mio paese e l’Italia.

In Toscana c’è anche una comunità cinese molto importante e radicata ormai da diversi anni..
Sì, non posso dire di farne parte integrante però, conosco diversi cinesi, qualche volta vado al tempio buddista. Il problema è che la maggior parte dei cinesi che abitano nel pratese sono originari del sud della Cina, io vengo dal centro del paese e non capisco nemmeno il loro dialetto.

Com’è stato lavorare con Carlo Monni?
E’ stata un’esperienza bellissima quella di lavorare con il collettivo John Snellinberg, un gruppo molto unito che si è dimostrato molto solidale con me, in una maniera che mi ha commosso. Il Monni era un grande personaggio. Un caro amico alla fine delle riprese. Sul set mi incoraggiava, mi ha invitato a cena e a vedere il suo spettacolo, mi ha anche dato il suo numero di telefono di casa dicendomi di chiamarlo. Io sono stato impegnato con le mostre e non ho potuto, adesso mi dispiace molto. E’ morto pochi giorni dopo, l’ho saputo dal regista Patrizio Gioffredi.

Alla fine dell’episodio del quale sei protagonista Carlo Monni muore e si ritrova a giocare al cimitero a carte con il becchino interpretato da Dome La Muerte. Il finale era già stato immaginato così prima della scomparsa dell’attore?
Sì, abbiamo scoperto che era malato ma non ci diceva nulla, avevo il sospetto che non stesse bene, ma non che fosse così grave. Ci sono rimaste molto male.

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Pubblicato il: 15 febbraio 2015

Argomenti: Cultura, Pisa

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