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Vera Vigevani: “La memoria non è una garanzia, ma aiuta a riconoscere i sintomi”

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Vera Vigevani, madre di Plaza De Majo, ha perso il nonno ad Auschwitz e la figlia per mano della dittatura di Videla. Questa mattina ha incontrato 500 studenti delle scuole pisane


A Vera Vigevani più forte della Shoah, una scuola del ricordo, con profonda riconoscenza
(La targa consegnata questa mattina a Vera Vigevani Jarach)

Quella di Vera Vigevani Jarach è una storia esemplare che racchiude due vicende apparentemente diverse e storicamente scollegate: il nazifascismo e la dittatura argentina. Le leggi razziali e l’inasprirsi della persecuzione contro gli ebrei hanno portato la sua famiglia a rifugiarsi in Argentina, mentre il nonno rimasto in Italia è morto ad Auschwitz. In Argentina Vera si è sposata e ha avuto una figlia, Franca, che sotto la dittatura è stata sequestrata, diventando così una delle moltissime desaparecidos, morta per mano del sanguinoso governo militare di Videla.

vera_vigevani_2“Vera racchiude due ferite terribili che dimostrano come le azioni orribili nella storia si ripetano”. Così l’assessore Marilù Chiofalo ha introdotto questa mattina Vera Vigevani Jarach di fronte a 500 studenti di diverse scuole di Pisa. Ragazzi della terza media Gamerra e delle scuole superiori Buonarroti, Carducci, Santoni.
In una stazione Leopolda piena a ricordare l’importanza di tenere viva la memoria anche il sindaco di Pisa Marco Filippeschi: “Dobbiamo avere coscienza che anche  l’Italia con la sua storia è stata generatrice di persecuzioni e razzismi. A Pisa, a San Rossore, sono state firmate le leggi razziali che hanno portato l’esclusione di bambini come Vera dalle scuole, che hanno prodotto la persecuzione, i campi di concentramento e lo sterminio. Ricordare dunque è un dovere”.

Perché, spiega Vere Vigevani, se è vero che “la memoria non è una garanzia assoluta, può aiutarci a riconoscere i sintomi e a spingerci a intervenire, ma senza violenza”. La memoria dunque come “ingrediente fondamentale della solidarietà. Memoria che deve servire a non essere indifferenti, ad essere parte attiva affinché gli orrori non si ripetano”.

vera_vigevani_3E se memoria significa essere parte attiva ecco che a scandire l’incontro e il racconto di Vera Vigevani sono le domande dei ragazzi presenti. La donna spiega che dopo la scomparsa di sua figlia ha immediatamente sentito la necessità di parlare, e di sapere, “anche come forma di ribellione ai silenzi di fronte alle nostre domande”.
Così racconta delle folli e spudorate risposte dei militari argentini alle richieste di avere notizie delle figlia Franca, “non si preoccupi, faccia finta che sia in vacanza”, o ancora “sarà sicuramente rimasta coinvolta nella tratta delle prostitute”.
Ma il silenzio allora non proveniva solo dai burocrati argentini. “L’ambasciatore italiano di allora, Enrico Carrara – racconta Vera – chiuse le porte dell’ambasciata perché infastidito dai moti italiani residenti in Argentina che chiedevano notizie dei propri figli”. A dominare fu il silenzio “della diplomazia, dei governi condizionati dagli interessi e dai legami politici ed economici con la dittatura argentina”.

E fu dopo tutti questi silenzi, racconta “che noi madri capimmo che dovevamo andare in Plaza de Mayo. La solidarietà e il coraggio che ci restituivamo a vicenda ci diede la forza di ‘sfidare’ la dittatura e di scendere in piazza. Fu una resistenza viscerale in principio, che proveniva dall’interno e che poi andò avanti”.

Vera Vigevani aveva 10 anni quando nel 1938 a San Rossore venivano firmate le leggi razziali, per questo fu costretta a lasciare la scuola. “Che ricordi ha di quando ha lasciato l’Italia?”, chiedono i ragazzi.
“Ero piccola – racconta – ma non stupida. Mia madre convinse mio padre a lasciare l’Italia. Ci imbarcammo a Genova e ricordo mio padre affacciato verso il mare mentre la nave si allontanava dalla costa gridare ‘W l’Italia’”.
Ricorda il nonno, rimasto in Italia, fermato mentre cercava di attraversare il confine con la Svizzera, tradito e denunciato da due italiani. Un tradimento che gli costò la deportazione ad Auschwitz e poi la vita.
“Mio nonno – racconta ancora Vera Vigevani – mi regalò prima della partenza 50 lire. Con quelle mi accompagnò a compare 10 libri che portai con me in Argentina. Nei primi anni quei libri sono stati il mio legame con le mie origini con la mia storia. Poi quei libri li ha letti anche mia figlia”.

Vera Vigevani Jarch ha 86 anni, instancabile continua a girare l’Argentina, l’Italia e il mondo per raccontare la sua storia, che è la storia del fascismo, delle persecuzioni e dello sterminio, così come quella della dittatura di Videla e dei 30 mila desaparecidos argentini.
E nonostante le cicatrici che Vera Vigevani porta con sé, anzi proprio per quelle, continuerà a girare il mondo per mantenere viva la memoria “finché le forze e soprattutto il cervello me lo permetteranno”.

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Pubblicato il: 3 febbraio 2015

Argomenti: Cultura, Pisa

Visto da: 821 persone

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