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Battiture Q Lo spazio è dentro di te, epperò è sbagliato!

spazio

Refusi urbani. Battiture libere. Criminalità, psichiatria, sangue nero. L’unica rubrica di pagina Q che vi fa vedere l’invisibile.


“Venezia è bella, ma non ci vivrei”. “Il nuoto è uno sport completo”. “Non ci sono più le mezze stagioni”. E, per i salotti culturali, “con carta e penna non scrive più nessuno”.
I luoghi comuni sono stratagemmi che ci consentono di entrare in qualsiasi discorso, politica o meteo che sia, affermando cose un po’ vere, un po’ ovvie, un po’ banali, con un tono intelligente, da gente vissuta, che conosce il mondo.

Con questa premessa, chi legge potrebbe pensare di trovarsi di fronte all’ennesimo elenco divertito di luoghi comuni – elenco che finisce per diventare un luogo comune anch’esso, un appello sottoscritto da nostalgici fruitori della penna, da un’accolita di difensori della specie stilografica che vi richiamano all’arte perduta di scrivere a inchiostro, come solitari amanuensi benedettini.
Ci perdoneranno gli affezionatissimi e incalliti morsicatori di biro e gli strenui e indefessi arricciatori degli angoli dei quaderni a righe, ma noi, per mestiere, questo luogo comune dobbiamo prenderlo talmente sul serio da poter azzardare una psicologia dello scrivente del nuovo millennio, del convertito alla religione di Word, del prestidigitatore incerto che, suo malgrado, ha dovuto stampare una W sul cuore e su ogni polpastrello.

Un libro, un articolo, un saggio, una poesia, una lettera a un’amica, una circolare ministeriale sono tutti una cosa sola: un file word, unqualcosapunto.doc. E anche qui, su questo supporto elettronico apparentemente asettico troviamo ciò che credevamo potesse essere svelato solo dallo scrivere a mano: ansie, tic, errori, amori, addirittura predisposizioni criminali!
Noi correttori di bozze, impaginatori, redattori, abbiamo il nostro strumento magico: come i rabdomanti trovano l’acqua con il loro bastone biforcuto, per svelare la psicologia di chi scrive noi adoperiamo un piede di mosca.

Lavorando con una varietà infinita di file che dovranno diventare testi impaginati per la stampa, si entra in confidenza con l’autore che si nasconde dietro quella font, tra gli spazi bianchi e (in)visibili delle battute in Times New Roman. E prima ancora di giudicare se quello che hai letto è degno di pubblicazione o meno, saltano agli occhi impostazioni maniacali, personalizzazioni misteriose, allineamenti acrobatici, accrocchi arzigogolati e soprattutto spazi. Tantissimi spazi. Erano lì, invisibili, ed eccoli apparire, smascherati dall’imperioso piede di mosca.
Lo spazio è un po’ come il bacio: è il nostro apostrofo rosa fra ti-e-amo. Lo spazio è una pausa  che si alterna ritmica fra i caratteri che digitiamo sulla nostra tastiera. Ciascuno sceglie il proprio ritmo spaziale. C’è chi, preso da quel motivo che fa: “carattere-spazio-carattere-spazio”, come in un solfeggio in chiave di violino, proprio non si capacita del fatto che fra la parola e la virgola lo spazio non ci va e continua così , in battere e levare .
Poi c’è quello che, alla fine del suo capoverso, prima di decidere se andare a capo, ha bisogno di contare gli spazi; forse lo aiutano a pensare.                                E li segna tutti, col tasto più lungo della tastiera: e chi ha più bisogno di mordicchiare il tappo della bic!

Poi c’è l’antagonista, quello che proprio non ci sta ad accettare che le impostazioni di word gli facilitino il compito di giustificare, centrare, mettere a destra o a sinistra il suo testo. Respinge questa impostazione omologante e si arroga la libertà anticonformistica di gestire il testo sul foglio disponendolo, a destra o a sinistra, sopra e sotto, solo con gli spazi. Un colpo di piede di mosca ed ecco apparire serpenti disordinati di puntini azzurri…

E cosa mi dite di quello che non distingue il rientro di riga dal rientro pomeridiano? Questo tipo umano tradisce stanchezza, lassismo, sciatteria; ogni rientro è diverso dall’altro, alle volte si serve di uno spazio di pausa, poi se ne approfitta, e al capoverso successivo, a inizio riga, sono già diventati due!

Poi c’è quello che va di fretta, che trova ozioso l’uso dello spazio fra i paragrafi, i capoversi…  E così ti consegna un blocco monolitico di caratteri compressi, un flusso di coscienza costruito in blocchi formato A4. Sotto sotto, vorrebbe essere Joyce.
Viene quindi lo spirito libero – libero nello spazio, s’intende: è quello che ha bisogno di mettere una distanza fra ( la parentesi e la parola ), fra i « caporali » e gli uomini: non accetta ordini né disciplina, segna distanze di autodeterminazione.

Infine c’è quello che non sbaglia uno spazio. Conosce bene il solfeggio di word e non vuole dare nessuna soddisfazione al correttore di bozze che è lì, accanito, pronto con il suo uncino a segnare in rosso lo spazio di troppo!
E tu, di che “spazio” sei fatto?

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Pubblicato il: 18 gennaio 2015

Argomenti: Battiture Q, Quaderni

Visto da: 1101 persone

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3 risposte a: Lo spazio è dentro di te, epperò è sbagliato!

  1. avatar Rita scrive:

    Ma sticazzi no, eh?
    Comunque in altre lingue gli spazi si usano diversamente, ad esempio in Francia ne usano uno prima dei due punti, e nelle parentesi e virgolette come da esempio finale.
    Comunque se questi sono gli aspetti piú interessanti del mestiere tanto da scriverci un articolo, poi capisco perché la gente preferisce spacciare droga.

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