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ClassiQue #4 Vento di ponente

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– Per te magari è un nome qualsiasi ma Paolo Grazzi m’ha risposto, dice che volentieri fa l’intervista.
– Ah. E chi è Paolo Grazzi scusa?
– Uno dei più grandi oboisti del mondo, bada si contano sulle dita di una mano, e l’oboe è uno dei migliori strumenti mai creati dall’essere umano.

in macchina verso Pisa, settembre 2014

Lo Zèfiro o Zèffiro è un vento che soffia da ponente. Il termine è derivato dal latino zephy̆rus che, a sua volta, tra origine dalla mitologia greca ove Zefiro, in greco Ζέφυρος / Zéphyros, è la personificazione del vento di ponente (ovest).
Wikipedia

Domenica mattina in città, un’esperienza che non faccio molto spesso, ed è piacevole: l’atmosfera è piuttosto vuota, siamo a metà novembre, poche automobili, odore di pasta frolla e pane dai bar, gente che si aggira senza troppa fretta nelle strade lunghe e strette tra San Frediano e Santo Spirito.
Firenze, soprattutto da questa prospettiva, appare in tutta la sua straordinaria bellezza.

Direzione Casa Santo Nome di Gesù, un albergo gestito dalle Suore Francescane Missionarie di Maria in p.zza del Carmine dove siamo ospiti alle prove dell’enseble Zefiro che la sera si esibirà con un programma tutto mozartiano al saloncino del Teatro della Pergola. Glielo dico anche al telefono mentre concordiamo l’appuntamento: sempre nelle chiese voialtri eh? Dall’altro capo della linea ridono.

Ci siamo. Dietro ad una porta bianca da cui fuoriescono suoni ovattati ed inconfondibili c’è Alfredo Bernardini – proprio lui, il mitologico Alfredo Bernardini – seduto davanti ad altri quattro figuri che soffiano dentro ai loro strumenti, immersi nel tipico mischione di frequenze fuori tempo a varia altezza ed intensità dei pre-prova d’orchestra. Siamo ospiti di Paolo Grazzi, dico. Da Pisa? Piacere benvenuti, Paolo ancora non è arrivato, risponde e monta il bocchino con l’ancia doppia del suo oboe.

Sebbene sia nato a Roma, Alfredo Bernardini ha un qualcosa di molto nord-europeo nei modi, sottile ironia compresa. Dopo averlo visto e ascoltato in centinaia di video ed in altrettante fotografie nei libretti dei dischi – non solo quelli del “suo” ensemble Zefiro ma soprattutto in quei dischi stranieri con la D maiuscola che si comperavano con un pizzico di invidia mentre il pensiero andava allo stato delle cose musicali in patria; i dischi di Harnoncourt, di Savall, di Pinnock, dei fratelli Kuijken o di Koopman, tanto per farvene un’idea – ora è qua di persona, parla e scherza con questo tono basso e pacato, e sembra tutto normalissimo.
Due minuti e arriva anche Paolo Grazzi, brevi saluti e iniziano a provare.

Assistere alle prove, specie così da vicino, può essere un’esperienza migliore del concerto stesso: si capisce meglio la personalità dei musicisti ed i loro intenti dato che si interrompono spesso per spiegarsi su questo o quel passaggio – questo basso me lo puoi fare un pochino grezzo ma al tempo stesso leggero? Come fossi un piccolo cinghiale, ma dev’essere un cinghialato domestico..
Non c’è la tensione dell’esibizione e se una cosa non suona come dovrebbe si rifà.
C’è sintonia, più che prove generali è una sorta di ripasso – proviamo l’attacco del divertimento in fa maggiore? A Mozart avrei sempre voluto dire: ao a bbello, ma chisse diverte oh!
Altra cosa che nella sala del teatro non sarà così palese è il rumore fisico degli strumenti, il clack! che fanno i tasti meccanici del fagotto barocco (quei pochi che ci sono) quando vengono premuti o le ance doppie che sfrigolano in bocca nei fortissimo.

Sono le due, andiamo a pranzo in cerca del lampredotto. Giorgio Mandolesi, uno dei due incredibili fagottisti, non viene: è vegetariano ed ha un invito di amici da qualche altra parte.
Paolo Grazzi invece ha due occhi che quando ti guarda sembrano bucarti, parliamo un po’ per la strada durante la ricerca della trattoria, sorride.

Allora, com’è la situazione in Italia, lavorate?
Guarda, qua le cose non sono mai andate troppo bene, ora specialmente che soldi non ce ne sono da nessuna parte, facciamo questa poi se ne riparla a maggio.

E con Giovanni Antonini (il Giardino Armonico, ndr) collabori sempre?
Mmmm, pochissimo in realtà, con loro l’impegno richiesto è molto alto e ho i miei progetti da seguire.
Sai, ultimamente vanno molto queste produzioni con i grandi cantanti, loro con Cecilia Bartoli per fare un esempio, non è che non lo apprezzi ma è una tendenza verso cui nutro dei dubbi, questa cosa dello star system intendo. C’è il nomone che fa vendere i dischi e i biglietti dei concerti mentre la musica, la musica d’insieme che è poi quella che interessa a me, passa un po’ inosservata.
Questo culto della personalità penso che non giovi a nessuno. Facciamo musica per provare a dire delle cose, a dirle in modo anche diverso se vuoi, tutto è invece diventato una questione di pacchetto-marketing, poi cosa ci sia effettivamente dentro a questo pacchetto va in secondo piano.

Si prosegue a camminare. Dileno Baldin, il cornista, fuma una sigaretta di tabacco.
Alfredo Bernardini tenta di entrare in un paio di locali ma è sempre tutto pieno.

Com’é che hai iniziato a suonare l’oboe barocco?
Erano gli anni settanta, studiavo l’oboe al conservatorio ma sinceramente mi rompevo un po’ le palle, si può dire? Poi sono arrivati i primi dischi “filologici” dall’Austria e dall’Olanda e a me, e non solo a me, si è letteralmente aperto un mondo.
Lo sai no? Erano incredibili e ti dicevi: allora è questo è il modo di suonare queste cose, tutto diventava improvvisamente chiaro e anche divertente. C’era molta sperimentazione sotto tutti gli aspetti, eravamo in pochi e ci si doveva inventare un modo. Dall’altra parte c’era il mondo dominante della musica seriosa, e facci caso, ho detto seriosa apposta che è un concetto molto diverso da quello di musica seria.
Intendiamoci, insegno ancora l’oboe moderno e mi ci trovo perfettamente in sintonia, non sono due cose in conflitto per me, anzi.

Abbiamo finalmente trovato un ristorantino, è strapieno di gente ma ci accolgono lo stesso. Eccoci seduti: sono davanti ad un bel piatto di trippa con l’enseble Zefiro quasi al completo. Tra una forchettata e l’altra gliela metto lì.

Non pensi che incidere Vivaldi andrebbe messo fuori legge?
Lo sai qual’è il disco più venduto di tutti i tempi? Le stagioni. Si, sicuramente su Vivaldi, e specie nel campo degli strumenti originali, è stato detto tutto. O quasi, le hai sentite le nostre registrazioni dei concerti per fagotto e oboe? Lo abbiamo inciso anche noi, si (ride).

Dimmi, è vero che gli strumeti ve li costruite da soli?
Si certo. Si inizia con l’ancia, noi oboisti ce la dobbiamo fare da soli, per cui partendo da quella è stato naturale scendere pian piano verso il basso, verso l’oboe. In fondo cosa vuoi, è solo un tubo con dei buchi dove soffi dentro. Basta un tornio nel garage (io strabuzzo gli occhi).

Alfredo Bernardini prende il dolce, io pure. Poi caffè. Dileno Baldin è in cerca di un’aspirina a causa dei postumi della serata precedente. Si paga alla romana e si esce con la pancia piacevolmente piena.

Harnoncourt? Che tipo è? di persona dico.
Ahhh, un Vulcano.
Savall?
Andare in giro con Jordi Savall può essere impegnativo, anche se lui è una persona molto dolce. Adotta la tattica dello sfinimento, prove infinite e quando tutti sono stanchissimi si inizia a suonare sul serio. Funziona. Poi al momento di andare sul palco cambia tutta la scaletta. Una volta mi ci sono incazzato tantissimo per questo motivo, ho buttatao tutto all’aria, io che di solito insomma…
non sono tipo da queste scenate.
Ti racconto questa: erano gli anni ’80, finito di incidere L’arte della fuga si esce e siamo al momento di andare. Jordi mette le sue cose in macchina, fa gli ultimi saluti e chiude il portellone del portabagagli esattamente sopra la Barak Norman, la sua viola da gamba del 1600: risuona per tutto il parcheggio un orribile rumore di legno in frantumi, una tragedia insomma. Lui la guarda tra lo stupore e il come nulla fosse, tipo cose che succedono. Reagisce così, con realtiva tranquillità. Capito che tipo è?
Ci sono voluti diversi anni per rimetterla a posto.

In giro per l’Europa negli anni ’80: a suonare chiamavano tanto anche voi no? Musicisti italiani.
Eravamo in pochi all’epoca a fre questa cosa, a suonare sugli strumenti originali, quindi..
Ho avuto la fortuna di andare sul palcoscenico insieme a questi personaggi che erano dei miti che ascoltavo e ammiravo da giovane si, ma erano anche altri tempi.
Noi qua in Italia eravamo quelli che la musica la prendevano alla leggera, ci veniva detto così, ci consideravano superficiali. Così se volevi lavorare andavi all’estero.
Ora è cambiato tutto, lo studio e la messa in scena della prassi esecutiva è diventata in qualche modo accademia. Per certi versi è una cosa anche positiva, Bach non ti puoi più presentare a suonarlo in un certo modo, quindi se non studi l’antico vai poco lontano. Sembra esserci solo questo ora.
Di contro tutto si è enormemente livellato, codificato, siamo diventati mainstream! Incredibile.
Ma è anche un po’ noioso, eravamo un movimento, un movimento culturale, le cose erano in continuo mutamento c’era inventiva e la sensazione di stare facendo qualcosa di straordinario.
Una rivoluzione, insomma.
Oggi quel che c’è è che si fa poca ricerca, si sono tutti adattati al nuovo modo che nel frattempo è diventato vecchio e prevedibile, è tutto abbastanza piatto e scontato.

Rieccoci.
Siamo di nuovo in p.zza del Carmine, i musici vanno a riposarsi in attesa del concerto della sera.
Saluti e varie, che poi in teatro sarà tutta un’altra faccenda, e un altro racconto.

 

Foto di copertina: Emmepi / Analogico does it better

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Pubblicato il: 31 dicembre 2014

Argomenti: ClassiQue, Quaderni

Visto da: 1255 persone

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