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Posta elettronica e Pericoli

UnaStoriaDiSegni

di Giovanni A. Cignoni

Abbiamo appena finito di divertirci giocando con tipi di informazioni diverse (musica e numeri) e vecchi strumenti per trattarle a manovella (grammofoni e calcolatrici) che subito arriva un’altra occasione per divagare sulla storia dell’informatica: il ritorno di Tullio Pericoli al Museo della Grafica. La mostra Una storia di segni propone una ricca serie di incisioni: paesaggi soprattutto, ritratti, con variazioni sullo stesso soggetto, e cornucopie, uno dei soggetti caratteristici dell’autore.

Fra le tante opere su cui è un piacere soffermarsi guardandole nell’insieme o investigandone i dettagli (sempre tanti in Pericoli), una è davvero una sorpresa. Nel percorso attraverso le stanze di Palazzo Lanfranchi arriva subito: è una piccola acquatinta che si intitola La torre.

Dico il minimo per non rovinare il piacere di scoprirla insieme a tutta la rassegna. Il soggetto è architettonico, un po’ futuribile. Come quasi sempre in Pericoli ci sono riferimenti alla scrittura; fogli, libri, matite, calamai, stilografiche sono sue icone ricorrenti. In La torre si riconosce un pennino, discreto, stilizzato, quasi nascosto nelle forme asimmetriche della costruzione. Invece al centro, evidente, quasi un’insegna sulla facciata di un grattacielo, spicca una ‘@’.
Poi l’occhio corre alla data dell’opera: 1980 – e qui Mr Spock direbbe fascinating!

Oggi la chiocciola è nota e frequente: per la posta elettronica, ma anche come cliché grafico per suggerire modernità e tecnologia. Ma qual’è la sua storia e cosa significava nel 1980? Vediamo.

L’origine del glifo ‘@’ è nelle abbreviazioni inventate per scrivere più alla svelta. Probabilmente deriva dal latino ad: i corpi di ‘a’ e ‘d’ si sovrappongono e il gambo della ‘d’ gira indietro – allora era la ‘∂’ che oggi usiamo solo in matematica. A partire dal XV secolo ‘@’ è usata nelle scritture commerciali sia per indicare la destinazione di un carico sia per indicare il prezzo unitario dei beni.

Poi, con il telegrafo, i caratteri cominciano a essere codificati. Ma nei primi alfabeti la a commerciale non gode di molta attenzione. Nel codice Morse del 1848 non c’è, arriverà solo nel 2004 in una, ormai anacronistica, ultima revisione dello standard. Non appare neanche nelle codifiche telegrafiche a 5 bit: non nella prima Baudot del 1874, non nella Murray del 1901 che segnò l’arrivo delle telescriventi, né nel CCITT ITA2, lo standard definitivo del 1930.

 

 

Le immagini:
1. La Underwood Portable (1919), dettaglio della tastiera
2. L’alfabeto CCITT ITA 2 (1930), dal manuale delle telescriventi Olivetti T2 (1955ca) usate poi dalle CEP e dagli ELEA 9003 e 6001
3. L’alfabeto BCD, dal Manuale dell’IBM 704 (1955)
4. Il primo portatile IBM (1975), la ‘@’ è sopra il ‘#’, retaggio della codifica BCD (Museo degli Strumenti per il Calcolo)
5. La prima tastiera Apple, dell’Apple ][ (1977), l’Apple-1 (1976) non ce l’aveva; come sulle Teletype 33 la ‘@’ è sopra la ‘P’ (Museo degli Strumenti per il Calcolo)

 

La ‘@’ trova più fortuna sulle tastiere delle macchine da scrivere. Le Underwood di inizio 1900 segnano le prime apparizioni, ma solo sui pezzi destinati ai mercati anglofoni, altrove deve lasciare spazio alle più utili accentate. Conquisterà il suo posto a metà degli anni ’50 con i primi calcolatori. Entra in scena con la codifica a 6 bit Binary-Coded Decimal e ha la sua residenza definitiva nei 7 bit del codice ASCII. Però, per diverso tempo continuerà a essere solo un simbolo fra tanti.

Nei primi anni ’60 i calcolatori iniziano ad avere più utenti contemporanei che lavorano tramite telescriventi. Scambiarsi messaggi era naturale e il primo sistema di posta elettronica (ma sarebbe più corretto chiamarla digitale) naque nel 1965, al MIT. Pochi anni dopo con ARPAnet (cioè Internet quando era un progetto militare dell’Advanced Research Project Agency) i calcolatori cominciano a connettersi in rete e si ampia l’insieme di persone che si scambiano messaggi. A questo punto però negli indirizzi serve un simbolo per separare il campo che identifica la persona da quello che specifica il calcolatore che gestisce la sua casella postale. Siamo nel 1971 ed è Ray Tomlinson che decide di usare quel carattere che, sulla sua Teletype 33, sta sopra la ‘P’ e che si legge at.

Il protocollo diventerà standard nel 1977, l’e-mail comincia a diffondersi come strumento di comunicazione e la chiocciola a diventare un segno sempre più riconosciuto e denso di significato. Ma in Italia? Beh, da noi Internet e posta elettronica arrivano nell’aprile 1986, a Pisa, al CNUCE di via S. Maria. Ma per qualche anno ancora saranno appannaggio solo di pochi informatici.

D’accordo con Alessandro Tosi, direttore del Museo della Grafica e curatore della mostra, non indaghiamo oltre: il mistero di come gli artisti ci insegnano a vedere oltre deve rimanere tale.
Mr Spock comprenderà.
Gli altri articoli della serie “Quattro chiacchiere sul calcolo, senza fare conti”

 

In copertina: L’immagine ufficiale della mostra “Una storia di segni”, al Museo della Grafica

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