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Siamo quello che mangiamo Il rapporto problematico fra cibo e uomo

cezanne

Sabato 29 novembre, si è tenuto a Pisa un convegno sulle strategie per la cura dei Disturbi Alimentari, organizzato dalla SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi della Condotta alimentare ) e dall’Associazione “La vita oltre lo specchio”. Ho partecipato a questo evento come uditrice e vorrei riportarvi una sintesi della relazione  del Prof. Massimo Cuzzolaro, psichiatra che opera nell’ambito della diagnosi e terapia dei Disturbi della Condotta Alimentare (DCA).

I DCA sono condizioni cliniche relative agli ultimi decenni; la prevalenza attualmente stimata nel mondo occidentale è dell’1% di AN (Anoressia Nervosa) , del 2% di BN (Bulimia Nervosa) , del 3%  di BED (Disturbo da  Alimentazione Incontrollata) e superiore al 10%  dei disturbi alimentari sottosoglia: ciò significa che un adolescente su sei presenta i sintomi di un DCA.
Anche l’obesità, negli ultimi trent’anni,  è diventata una pandemia  , definita “globesity “ dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; entrambi questi aspetti evidenziano il rapporto problematico che si è stabilito tra uomo e cibo, in particolare tra donna e cibo, visto che incidenza e frequenza dei DCA  sono raddoppiate  in entrambi i sessi, ma il rapporto maschi- femmine è 2:3.

Cibo e l’uomo non hanno più un rapporto ‘naturale’

Accanto a obesità e DCA si collocano altri fenomeni che sottolineano ulteriormente come il cibo e l’uomo non abbiano più un rapporto “naturale” mediato esclusivamente dal bisogno e dal gusto, e anche come  il rapporto con il proprio corpo sia cambiato:  ad esempio la bigoressia, l’emotional eating, fino ad  arrivare a comportamenti alimentari di tipo additivo motivati, secondo alcuni autori, dall’effetto che il cibo produce sui circuiti cerebrali legati alla ricompensa.
Tutti questi comportamenti si distribuiscono nell’ampio spettro dei pesi corporei possibili e spesso si associano ai DCA maggiori.

Se l’aspetto epidemico e la nomenclatura medica sono di ultima generazione, le malattie di per sé sono antiche, il rapporto uomo cibo ha sempre oscillato tra il digiuno e l’opulenza: molto esplicativo, rispetto all’uso del digiuno fino all’estrema conseguenza allo scopo di difendere la propria individualità  è stato l’esempio portato dal Prof. Cuzzolaro di Santa Margherita d’Ungheria (1242-1270), di cui non riporto la storia per brevità, ma che è certamente interessante conoscere.

La storia dell’AN come patologia inizia alla fine del 1600 ma una vera definizione arriva solo nella seconda metà dell’800 e che rimane da sola, nell’ambito dei disturbi alimentari, fino al 1979, anno in cui il Dott. Russel descrive trenta casi di BN, definendola come una pericolosa variante dell’AN.
Nel 1980 il DSMIII (Manuale  Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) cambia la tassonomia psichiatrica: comincia la classificazione descrittiva dei sintomi della patologia e in questa edizione appaiono AN, BN e NAS (disturbi della condotta alimentare non altrimenti specificati); dall’edizione del 1994 viene inserito anche il BED.

I NAS, che teoricamente dovrebbero essere una categoria residuale, raccolgono in realtà il maggior numero di casi, e per tale motivo, nel DSM V del maggio 2013, il sistema di classificazione dei DCA è stato diviso in otto categorie: AN (suddivisa in due sottogruppi a seconda della presenza o meno di condotte di eliminazione), BN, BED, Disturbo Evitante / Restrittivo dell’assunzione di cibo (Ortoressia, Anoressia inversa), Disturbo della ruminazione, Pica , Altri disturbi specifici della nutrizione e dell’alimentazione (Night Eating Syndrome)  e Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione non specificati .

Esiste un genere di medici che credono ogni volta di aver trovato un nome, di aver trovato una malattia

La classificazione elenca in ordine gerarchico i DCA e la diagnosi psichiatrica consiste nel collegare segni oggettivi e sintomi soggettivi: è quindi una diagnosi sintomatologica che, se a suo vantaggio ha un incremento dell’attendibilità e della comunicazione tra medici che utilizzano lo stesso manuale per la diagnosi, a suo discapito ha certamente poca validità (una diagnosi è valida se individua differenze evidenti in natura, come è accaduto per la Sindrome di Down prima che si conoscesse la sua eziologia, ossia la trisomia 21).

La citazione di Kant, fatta dal Prof Cuzzolaro è certamente esplicativa: “Esiste un genere di medici che credono, ogni volta di aver trovato un nome, di aver trovato una malattia”.

In tutti i casi (come già avevo sottolineato riguardo a disturbi del neurosviluppo) in cui la eziopatogenesi è sconosciuta, le diagnosi sintomatologiche, anche se non corrispondono e entità morbose, possono essere utilizzati per indagare i possibili cause alla base della malattia e per ricercare parametri biochimici o genetici che possano collegre il sintomo alla fisipatologia, permettendo di stabilire strategie terapeutiche adatte.

 

Se avete domande, curiosità, o volete approfondire temi legati all’alimentazione scrivete a redazione@paginaq.it, la nostra nutrizionista Daniela Troiani risponderà

 

Paul Cezanne, La table de cuisine, 1888-1890

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