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Diritti e lavoro: come vede il Jobs act un renziano in Cgil

lavoro

L’intervista a Pasqualino Albi, giuslavorista, membro dell’esecutivo provinciale del PD e avvocato già attivo all’ufficio vertenze della Cgil di Pisa

Pasqualino Albi, avvocato del lavoro, ricercatore al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, è stato attivo in alcune vertenze con la Cgil ed è responsabile Università e Ricerca nell’esecutivo provinciale del PD. Da “renziano in Cgil”, la sua è una posizione delicata nell’attuale assetto del partito, e sulla scia della domanda che ci siamo posti ieri, ovvero, dove fosse il “Pd pisano” sabato, se alla Leopolda o in piazza con la Cgil, l’abbiamo rivolta anche a lui, soffermandoci sulle politiche del lavoro del governo Renzi.

albiDov’era sabato?

Non ero né da una parte né dall’altra e non ho motivo di prendere una posizione definitiva in un senso o nell’altro, penso che in questo momento ci sia bisogno di riflettere e di tenere insieme un partito. Questo è l’elemento più pericoloso perché quando la sinistra si divide, storicamente non accade mai qualcosa di positivo. Occorre avere la capacità di fare sintesi fra tesi fortemente contrapposte, ma anche andare alla radice della contrapposizione e capire se le esigenze di rinnovamento poste al centro dell’azione governo possono farsi strada tenendo fermi i diritti. Penso alle parole di Renzi sul posto fisso, quando afferma che non esiste più: bisogna capire se parla di un obbiettivo dell’azione di governo, e in questo caso non si può essere d’accordo, o se si tratta di una presa d’atto di un problema che non è solo di temporaneo e legato alla crisi, ma strutturale. E come ci apprestiamo a risolverlo, quali sono gli strumenti per adeguare il diritto, visto che l’attuale mercato del lavoro è globale.

E qui entra in campo il Jobs Act. Che idea si è fatto?

Io credo che si debba mettere in atto una strategia articolata in due tempi: porre innanzitutto le premesse per rendere non drammatica l’ipotesi della perdita del lavoro o della sua ricerca. Solo dopo, e sottolineo, dopo, si può procedere a tentare di ridefinire una disciplina dei licenziamenti, peraltro modificata solo due anni fa. Il problema è che negli ultimi 20 anni non si è saputo distinguere le fasi, costruendo prima un sistema che avesse caratteristiche universali, e dopo regolando il tema dei licenziamenti.

Cosa che sta facendo anche Renzi, che da un palco come quello di sabato ha dovuto ribattere sul tema dell’art. 18, ormai noto come “il gettone nell’iPhone”?

L’articolo 18 in questo momento è un po’ un fantasma, perché nel testo Jobs act non compare mai direttamente. Ecco perché dico torniamo alle due fasi: prima pensiamo a un sistema di protezione universale, è inutile altrimenti citare modelli esteri, come quello danese dove il licenziamento è libero, ma in cui la tutela contro la disoccupazione dura circa 48 mesi – un sogno per noi. Non si può fare “shopping” normativo.

E il governo lo sta facendo secondo lei?

Si stanno mettendo a punto delle bozze di modelli. Infatti in questo senso il Jobs act e il Ddl stabilità vanno visti insieme, perché vi sono provvedimenti importanti che potrebbero essere la chiave di volta per un rilancio dell’occupazione, come la decontribuzione totale per un triennio a chi procede con assunzioni a tempo indeterminato. Nel Jobs act si è abbozzato un modello, che può essere perfezionato e messo a fuoco. Ma se vogliamo veramente realizzare un sistema universale di protezione sociale, allora andiamo in questa direzione, costruiamolo questo modello. Se parliamo di lavoro precario, anche in relazione a quella disciplina bisognerà prevedere qualche tutela in caso di perdita di lavoro. Credo però che non si debba avere paura delle riforme e che occorra uno sforzo di innovazione.

Si riferisce al sindacato?

Sì, questo sforzo deve riguardare anche le organizzazioni sindacali. Che devono capire meglio cosa vogliono. Voglio citare la relazione del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, presentata il 18 ottobre in occasione dei 60 anni del Mulino e intitolata “Perché i tempi stanno cambiando”. Una relazione aperta, che non dà indicazioni specifiche ma fornisce alcuni elementi molto utili e seri. Visco ricorda ad esempio un recente studio di due ricercatori dell’Università di Oxford, secondo cui il 47% degli attuali posti di lavoro negli Stati Uniti potrebbe andare perso nei prossimi 20 anni perché svolto in modo automatico. Questo a catena comprenderà anche l’Europa e l’Italia. Di fronte a una rivoluzione del genere la sfida è quella di governare il fenomeno. Non fingere di essere ancora al 1975, perché la capacità di difendere i lavoratori passa anche dalla comprensione dei fenomeni di cambiamento che i lavoratori attraversano per primi. Bisogna ripensare le categorie, sia la politica che il sindacato, ma con una contrapposizione così forte non si va da nessuna parte.

C.C.

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Pubblicato il: 28 ottobre 2014

Argomenti: Economia-Lavoro, Pisa, Politica

Visto da: 1684 persone

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Una risposta a: Diritti e lavoro: come vede il Jobs act un renziano in Cgil

  1. avatar Roberto scrive:

    I diritti vanno estesi a tutti e non tolti-
    L’articolo 18 è un falso problema e serve a Renzi pe incunearsi nei partiti di destra e avere così
    più consensi e basta

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