MENU

Quanto sono difficili gli ingegneri

typing

di Giovanni Cignoni e Giuseppe Lettieri

Fra i tanti elementi di nota dell’Internet Festival appena concluso, c’era “Typing_DESIGN” allestita al Bastione Sangallo. Originale nella proposta espositiva – che ha colpito molti, come testimonia il numero di foto postate e condivise sulla rete – la mostra offre lo spunto per una riflessione sui diversi livelli di comunicazione con i quali si può giocare con il pubblico stimolandone curiosità e interesse: estetico/scenografico da una parte e storico/tecnologico dall’altra.

Livelli che richiedono competenze specifiche, da mettere in campo con egual misura per non correre il rischio di parlare a compartimenti e acuire quella diversità di vedute che da sempre distingue pubblici con formazione diversa come, per esempio, gli ingegneri, che tradizionalmente nutrono diffidenza per i designer. Esempi illustri si trovano nello sconforto di Perotto di fronte alla proposta di Zanuso per la Programma 101 (poi fortunatamente arrivò Bellini) o nelle spiegazioni un po’ acide di Wozniak sulle ingerenze non tecniche causa dei difetti dello sfortunato Apple ///.

Girando per la mostra abbiamo, per caso, colto i commenti di due visitatori, indiscutibilmente indentificabili come ingegneri: cravatta storta, camicia a maniche corte, penna nel taschino.

Dall’analisi del loro dialogo esce un interessante quadro antropologico che, ancora una volta, mostra come errori e leggerezze (generalmente evitabili) producono in certo pubblico un atteggiamento di netto rifiuto. Così, chi per formazione tende ad apprezzare soprattutto la competenza tecnologica e l’accuratezza delle informazioni, finisce per non cogliere e tantomeno gustare i suggerimenti estetici dell’allestimento.

Ecco la trascrizione del dialogo dei due visitatori.

Ing1: Ohibò. Perché hanno legato così questi cimeli? Non nego le mie inclinazioni fetish per i pezzi di vecchia tecnologia, ma il bondage è troppo anche per me.

Ing2: Secondo me l’hanno fatto per rovinare le fotografie, così non te la menano col divieto di fotografare, che in questi tempi istagrammosi sta male, ma non le puoi utilizzare lo stesso.

Ing1: Eppoi tutta qui? Potevano metterci anche qualche altro pezzo importante nel passaggio dalla macchina da scrivere al PC. Che so, l’IBM 5100 del ’75 uno dei primi PC con la tastiera qwerty.

Ing2: Vero, di spazio ne avevano, oltretutto come hanno fatto a dimenticarsi l’IBM? Non solo i PC, anche quelli prima del PC, ma le macchine da scrivere elettriche?

Ing1: In effetti le elettriche brillano per assenza, non dico una Remington degli anni ’20, o un’IBM Electric Typewriter Model 1 del ’35, ma una elettrica, una almeno dovevano esporla.

Ing2: Anche perché saltando dalle meccaniche direttamente all’Olivetti ET1250 sembra quasi che non sappiano la differenza fra un’elettrica e un’elettronica.

Ing1: Ah, ah. Peraltro l’ET1250 è poco rappresentativa nella storia Olivetti, vuoi mettere con la ET101 del 1978, una delle primissime elettroniche?

Ing2: O, visto che parliamo proprio di design, con la ETP55 di Bellini-Chiarato?

IngDes_01-ETP55

Ing1: Eh sì. Comunque Olivetti non è stata certo trascurata…

Ing2: Sì, ma allora che facciano un percorso dedicato. Una mostra di 12 pezzi, di cui 4 Apple e 6 Olivetti, non è una retrospettiva equilibrata, sembra invece giocata sui marchi già noti al pubblico.

Ing1: Per me sa anche un po’ di raccolta casuale, se no come ti spieghi le due eccezioni, il Vaio e il C64? Il Vaio è del tutto anonimo e il C64 che c’entra? Popolare certo, senza dubbio “bello dentro”, ma fuori era piuttosto bruttino, sgraziato direi.

Ing2: Oltretutto, se volevano sottolinearne l’aspetto esteriore avrebbero dovuto mettere il Vic20: il C64 arrivò un anno dopo e ne riusò pari pari la carrozzeria, cambiò solo il colore.

Ing1: Sì, figurati, hai visto il Mac? hanno scritto 1984 che è la data del primo Macintosh, ma hanno esposto un SE/30 dell’89. Evidentemente lavorano con la tolleranza di un lustro, vuoi che badino all’anno di differenza fra Vic e 64?

IngDes_02-SE1984

Ing2: Ohoh, guarda qua, questa è colossale: a me sembra inequivocabilmente una Olivetti MP1 del ’32, quella del manifesto fighissimo di Boggeri e Schawinsky, ma c’è scritto Diaspron 32 1959

IngDes_03-MP1Diaspron

Ing1: Maddai… cavolo è vero… ma come è possibile…

Ing2: Ah, ecco cosa è successo: hanno scambiato i cartellini! L’Olivetti Diaspron 82, non 32 come hanno scritto, ha il cartellino della MP1.

Ing1: Peggio che mai. E non se ne sono ancora accorti? stasera la mostra chiude.

Ing2: Anche questa è curiosa: espongono il G4 Cube, che in effetti era bello, ma mostrano solo monitor, tastiera e mouse, senza l’unità centrale che poi era il vero “cubo” del nome.

IngDes_04-CubeNoCube

Ing1: Senti invece, a proposito del Vaio qui accanto, aiutami a decifrare il cartellino, che significa secondo te “Sintesi Vocale 1984, 1998, 2012, Apple, Microsoft, Google”?

Ing2: Boh, date e nomi a caso? Quel che ti posso dire è che la sintesi vocale c’è da molto più tempo e non è un’invenzione di Apple, Microsoft o Google. Nel 1962 i Bell Labs incisero pure un disco in cui facevano cantare un IBM 7090, nota bene, cantare: intonato e a tempo.

Ing1: Sì, sì, certo, lo cita pure Kubrick in 2001. Tutti i primi PC e molti home avevano capacità di sintesi vocale, prima del 1984.

Ing2: Forse lo spiega il pannellone. Che dice?

Ing1: Mhh… oggetti iconici… design… profondi cambianti… design…

Ing2: Cambianti?

Ing1: Sì, cambianti… design… principio unificatore… Noo!

Ing2: Cosa?

Ing1: Anche qui! Quella frase che mi fa rabbia sull’Olivetti MP1!

Ing2: Dove? Cosa?

Ing1: Qui, come su Wikipedia: “conosciuta anche come modello ICO”.

IngDes_05-ModelloICO

Ing2: Beh, è vero però: aveva la classica targhetta ICO proprio nel mezzo. Perché ti fa rabbia?

Ing1: Perché nessuno si scomoda a dire per cosa sta ICO.

Ing2: Ingegner Camillo Olivetti!

A questo punto, prima di essere presi per molestatori, abbiamo desistito.

L’ultima battuta, oltre a svelare un dettaglio curioso, è esplicativa del senso di categoria che, invece, di solleticare dovremmo cercare di abbattere. Abbiamo per scrupolo verificato le affermazioni dei due: di materiale ce ne è in abbondanza per riflettere sull’opportunità di curare con maggiore attenzione gli aspetti storici e tecnologici, magari coinvolgendo le competenze che a Pisa, e in particolare al Museo degli Strumenti per il Calcolo, non mancano di sicuro.

Download PDF

Scritto da:

Pubblicato il: 15 ottobre 2014

Argomenti: Cultura, Pisa, Tech

Visto da: 1468 persone

, , , ,

Post relativi

3 risposte a: Quanto sono difficili gli ingegneri

  1. avatar Francesco Bulgarini scrive:

    Beh, forse l’acribia è degna di miglior causa
    :-)

  2. avatar Francesco Bulgarini scrive:

    Già, pare purtroppo che fin troppo estro (scil. clownerie) l’abbia messo l’agenzia delegata alla realizzazione della mostra.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi paginaQ per email

Ciao!
Iscriviti alla newsletter di Pagina Q
Se lo farai ci aiuterai a far vivere l’informazione nella nostra città e riceverai la versione mail del quotidiano.
Naturalmente non cederemo a nessuno il tuo indirizzo e potrai sempre annullare la tua iscrizione con un semplice click sul link che troverai in ogni nostra mail.