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VideogioQ Dottor Monge all’Internet Festival – Giorno 1

videogiochi

Sono le ore 14.25 del 9 ottobre 2014, il pomeriggio è plumbeo e caldo e il sottoscritto si trova a Mixart, nell’area Play The Game dell’Internet Festival. Per questa prestigiosa testata, coprirò tre giorni di festival dedicati a videogiochi e dintorni. Non ho bisogno di presentarmi: sono il miglior recensore videoludico della Piana, e la mia professionalità in merito è certificata dalla crostata che mi è stata promessa per l’impegno reportistico.

Non so se sia più fico snobbare l’IF per il suo contemporaneo, l’InternetOff, o se viceversa si debbano spiazzare le aspettative del prossimo e sguazzare nel mainstream (e quindi dedicarsi all’Internet Festival). Fatto sta che l’IOff non offre alcuna manifestazione che sia collegata anche in modo tenue ai videogiochi, quindi il problema non si pone. Meglio per me: spingendo al limite il mio neurone e mezzo, sono riuscito a tracciare un’infallibile tabella dove incastrare tutti gli eventi dei tre giorni di cronaca, in modo da non perdere nemmeno un secondo della sapida offerta digitale di quest’anno.

Sconfitte le insidie dell’abbiocco postprandiale, m’inoltro nella Sala Arena di Mixart. Detto complesso, dedicato alle arti, ha da poco aperto i battenti in via Bovio, ed emana ancora un tenue, piacevole odore di legno. Ho deciso di prendere il toro per le corna, e di affrontare la kermesse partendo dall’incontro intitolato Gamification for Better Business. Cito testualmente il booklet:

La gamification nasce come risposta a dati preoccupanti: solo il 13% dei lavoratori è Engaged sul posto di lavoro ed oltre il 70% dei nuovi prodotti e servizi fallisce. Attraverso le testimonianze di aziende leader italiane e mondiali e di game designer scopriremo come disegnare esperienze e prodotti in grado di raggiungere obiettivi aziendali

Già da qui avrete inteso che non si tratta di roba da educande, e con uso ed abuso di termini inglesi, ai relatori occorrerà una buona ventina di minuti per spiegare gli assunti della gamification ad un uditorio non nutritissimo, ma attento. Trattasi in breve dell’adozione in ambito aziendale di soluzioni ed approcci propri della progettazione di videogiochi, allo scopo di coinvolgere maggiormente lavoratori e clienti. Ci viene spiegato che sino a tre anni fa niente di ciò esisteva, mentre oggi il giro d’affari per questo genere di consulenze è stimabile attorno al miliardo di dollari.

Dai paesi anglosassoni proviene anche la maggior parte degli esempi di simili pratiche. Che si tratti di classifiche condominiali sul consumo di acqua, luce e gas, o di piattaforme online per scommettere valute virtuali su quali proposte verranno accettate dai propri superiori al Ministero del Lavoro britannico, queste trovate nascono per rendere divertente ed amichevole tutto ciò che alla cassa o sul posto di lavoro è assimilabile alla sequela di obiettivi che scandisce la durata di un videogioco. Criticare il potenziale distopico di questo approccio è sin troppo facile, nonché già fatto in un episodio della serie inglese Black Mirror (guardatevela, sul serio, la daranno il 12 ottobre sera al cinema Arsenale, appunto per il festival) meglio di quanto potrò mai fare.

Forse ciò che di noioso si fa per campare andrebbe ripensato o solo tollerato, invece che infiocchettato. Non ho intenzione di spingermi sino a tanto: i miei dubbi scaturiscono più che altro dal sentire l’elenco di elementi di design che andrebbero graffettati sulla vita d’ufficio: gli avatar, le medaglie e quant’altro sono soluzioni adottate in massa nella storia videoludica degli ultimi anni, ma non fanno di per sé un buon videogioco. Stimolano più che altro alla compulsione, e il parallelo tra gioco compulsivo e produttività/acquisto compulsivo, come ammirevolmente viene confessato agli astanti, è ciò che ha dato l’avvio allo sviluppo della gamificazione.

 

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Insomma: resisto ben tre quarti d’ora prima di crollare, uscendo con un rinnovato, ferreo rispetto verso queste persone. Sanno propagandare le proprie competenze senza risultare per ciò forzate o stucchevoli, e nell’attuale clima deflattivo ne avranno certo bisogno. Poco lontano, la sala Performance ha le porte provvidenzialmente aperte, e ne escono scoppi e grida di giubilo: è il Renaissance Games Festival, e su comodi divani si può giocare a titoli indipendenti su schermoni LCD. Penso che sarà qui che cercherò di collassare nei periodi morti dei prossimi giorni.

Questo evento è semplice e ben pensato (veniteci in gruppo, ci sarà anche il 10), visto che la rassegna verte su giochi multigiocatore e ci si sfida (o si sfidano gli sviluppatori, o questi giocano da sé) ognuno col suo joypad. Prima di soccombere al sovraccarico riesco a provare:

Fatal Error (Tiny Colossus), che nonostante sia nei primi stadi di sviluppo mi è sembrato il migliore del lotto. Una guerra di robot scatoliformi inquadrata dall’alto, dove entrando in appositi portali ci si camuffa da scatola per tendere agguati ai propri rivali.

Check In, Knock Out (Lionade Games), dove quattro giocatori possono lanciarsi addosso pezzi dello scenario. Una sorta di Smash Bros. semplificato e sin troppo confusionario, cionondimeno simpatico.

In Space We Brawl (Forge Reply), concettualmente simile al primo della nostra lista ma ambientato nello spazio. Sontuoso da vedere e talmente affollato che purtroppo ho dovuto vederlo da dietro il divano.

Speed Runners (Doubledutch Games), in cui bisogna distanziare i propri rivali correndo a perdifiato. Qui l’ispirazione più diretta è il leggendario Micro Machines ma la visuale è laterale. Se sfidate il produttore di questo piacevole titolo acido e cartoonesco ci rimediate delle belle figure di palta.

Ma domani è un altro giorno e un altro festival.

Tommaso Mongelli
www.fandonia.net

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Pubblicato il: 10 ottobre 2014

Argomenti: Pisa, Quaderni, VideogioQ

Visto da: 925 persone

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