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Le false teste di Modigliani al Museo di San Matteo

modigliani

Apre le porte domani l’attesa mostra dedicata ad Amedo Modigliani, Modigliani et ses amis, a Palazzo Blu, curata da Jean Michel Bouhours, accreditato studioso di Modigliani e curatore del dipartimento delle collezioni moderne del Centre Pompidou di Parigi.

E Pisa non si lascia sfuggire l’occasione che le opere di Modì rappresentano.

Ecco così che al Museo Nazionale di San Matteo arriva la mostra I Falsi Modigliani dedicata alle tre sculture di teste erroneamente attribuite a Modigliani, e curata dal direttore del Museo di San Matteo Dario Matteoni, già assessore alla cultura di Livorno, e dalla Soprintendente di Pisa Paola Raffaela David.
Parliamo dei celebri falsi di Modigliani, ritrovati in un fosso a Livorno nell’estate del 1984, che riuscirono a trarre in inganno anche celebri studiosi e critici d’arte.

“Una leggenda, decisamente legata al clichè dell’artista “maudit” – scrive Dario Matteoni nell’introduzione alla mostra – racconta che Modigliani, ritornato a Livorno nel 1909, deluso e non contento delle sue opere avrebbe gettato nel Fosso Reale alcune sculture rimaste allo stato di semplice abbozzo. Così nella primavera del 1984 si decideva di porre a verifica tale racconto, peraltro accolto anche su autorevoli saggi ,dragando lo specchio d’acqua livornese”.

Con il ritrovamento del 24 luglio del 1984 delle prime due sculture “i giornali pubblicano i pronunciamenti e le attribuzioni favorevoli a confermarne la paternità modiglianesca da parte di autorevoli storici dell’arte, primo fra tutti Giulio Carlo Argan. Superato ogni dubbio, l’11 agosto le due sculture compaiono nella sede del Museo d’Arte Progressiva a Livorno, mentre giunge la notizia di un terzo ritrovamento.
Poi i colpi di scena: tre studenti livornesi affermano di essere gli autori della seconda testa, quella in arenaria, sostenendo di averla scolpita con strumenti da dilettanti e di averla gettata per burla nella zona delle ricerche e ancora, il 13 settembre, un artista livornese, ex dipendente portuale, si attribuiva la paternità delle due sculture in granito e arricchiva la sua rivendicazione con argomentazioni di carattere artistico e filosofico, legittimando il gesto, documentato con tanto di registrazioni televisive, come un’operazione concettuale volta a demistificare la critica d’arte e i mass-media”.

“I tre reperti – prosegue  Matteoni – si offrono ancora oggi quale testimonianza di un’autosuggestione collettiva, nata nel nome di Modigliani, che sembra affondare le sue motivazioni nel desiderio di trasformare un sogno, un mito in realtà. Si potrebbe quasi rileggere l’episodio del ritrovamento come un racconto, o meglio una fiaba che trova il suo premio nelle sculture affiorate dalle acque, quasi magiche, del Fosso Reale.
E’ indubbio che la vicenda livornese, per il rilievo assunto sui mass media dell’epoca, per la statura dei critici che vi intervennero, portò alla ribalta una questione sulla quale da sempre si confronta la storia dell’arte: la validità del metodo attribuzionistico. Ancora oggi le tre sculture possono iscriversi in una ampia dinamica culturale che può spaziare da una più specialistica riflessione sui linguaggi della critica d’arte e sul sottile filo che separa, nell’arte contemporanea, il vero dal falso e dalla replica, fino all’indagine sulla recezione da parte del grande pubblico del fenomeno artistico in un’epoca nella quale l’opera, per richiamare le parole di Walter Benjamin, ha perso l’”aura” dell’unicità”.

La vicende è stata raccontata recentemente da Daniele Cerrai in Grigio Modì, storia di tre teste ritrovate (Round Robin Edizioni), e da un documentario del 2013 di Giovanni Donfrancesco.

 

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Pubblicato il: 2 ottobre 2014

Argomenti: Cultura, Eventi, Pisa

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