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Bottom up climbs, fino in cima a impatto zero

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Prendi una qualsiasi area geografica, colleghi il punto altimetrico più basso e quello più alto e stabilisci così un percorso, da seguire senza l’ausilio di mezzi motorizzati. Questo è bottom up climbs, una delle tante maniere di vivere la montagna che l’uomo non cessa di inventarsi. Una disciplina che esiste da qualche anno, praticata alla ricerca del record e della prestazione estrema.

Non importa andare dall’altra parte del mondo, quello che conta è l’approccio che si nei confronti della montagna

C’è però chi non ha tutta questa fretta e il bottom up lo pratica per il puro piacere di percorrere a piedi, in bici o con gli sci alcuni dei luoghi più affascinanti della Terra.

È il caso di Alessio Piccioli – piemontese di nascita e pisano di adozione, grande appassionato di montagna ed eletto recentemente presidente del Cai Pisa – che insieme all’amico Giuseppe Milanesi, istruttore di sci che abita in Svizzera, ha creato un progetto ambizioso.

L’idea è quella di lasciare da parte l’ossessione per il cronometro per applicare al bottom up i principi del by fair means, il che significa andare sempre alla ricerca del minor impatto ambientale possibile. Si va forte, su tracciati molto impegnativi e spesso estremi, ma si rispetta la montagna e chi la abita.

Alessio e Giuseppe hanno coinvolto anche Anne Marie Flammersfeld, atleta professionista con la passione per le competizioni estreme. Proprio dalla Svizzera è partita l’avventura dei bottom up climbers.

Nel luglio del 2013 i due partono da Ascona, sul Lago Maggiore, (199 m. slm) e raggiungono la cima del Monte Rosa, il Dufourspitze (4634 m. slm): per farlo cominciano in bici, proseguono a piedi, scalano per arrivare in vetta e scendono sciando. Il tutto in 3 giorni. In quel caso Anne Marie, in cerca di sfide più impegnative, se la fa tutta a corsa.

Una volta stabilito il principio, il bottom up è applicabile a tutte le aree geografiche. Per l’estate 2014 era in programma quello europeo, partenza dal mar Caspio e arrivo in vetta al monte Elbrus, a 5642 m. slm. Purtroppo l’instabilità della zona (l’Elbrus è in Russia) legata al conflitto in Ucraina ha costretto il gruppo a rinunciare. In alternativa è stato scelto l’Iran e un percorso che ha collegato il mar Caspio al vulcano Damavand, a quota 5671, che i tre hanno compiuto in 5 giorni.

LE FOTO DELLA SPEDIZIONE IN IRAN

Con la conquista del vulcano più alto dell’Asia è partita ufficialmente la nuova sfida. Raggiungere le cime degli altri 6 vulcani più alti del pianeta, partendo sempre dal punto più basso dell’area e seguendo gli stessi principi. Parliamo del Pico de Orizaba (Messico, 5610 m s.l.m), dell’Ojos del Salado (tra Cile e Argentina, 6891 m. slm, il più alto del mondo), il Kilimanjaro (Tanzania, 5895 m. slm), l’Elbrus e il Giluwe (Papua Nuova Guinea, 4367 m. slm).

“Non importa andare dall’altra parte del mondo” ci spiega però Alessio Piccioli, “quello che conta è l’approccio che si ha nei confronti della montagna e dell’ambiente in generale”. Il bottom up della Toscana ad esempio va dal mare al monte Pardo, la vetta più alta dell’Appennino. In Abruzzo si può partire dalle spiagge pescaresi e raggiungere il Corno Grande, la vetta più alta del Gran Sasso a 2912 m. slm, in Sardegna invece si parte dal mare per salire a Punta La Marmora, a quota 1834 nel cuore del Gennargentu. Gli itinerari sono potenzialmente infiniti, l’importante è lo spirito.

www.bottomupclimbs.org

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Pubblicato il: 7 settembre 2014

Argomenti: Ambiente, Mondo, Tech

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