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Srebrenica, 19 anni fa

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Il ricordo e la riflessione di Stefano Landucci, nei giorni in cui ricorre l’anniversario di uno dei genocidi più cruenti degli ultimi anni, avvenuto a Srebrenica, in Bosnia. La sconfitta della politica occidentale, la distanza fra i Balcani e il resto dell’Europa, il dolore collettivo di una storia che è ancora contesa

L’11 luglio è il giorno in cui in tutto il mondo si ricorda il genocidio di Srebrenica, lo fa la comunità bosniaca sparsa in tutto il mondo, lo fanno da alcuni anni anche le istituzioni, almeno quelle locali, più sensibili.

Io ricordo quel momento con molta partecipazione emotiva, lo faccio, in modo particolare da quando sono andato a Srebrenica insieme all’amico Marco Bani, che all’epoca del massacro aveva solo 12 anni, in occasione della commemorazione al Sacrario di Potocari, appena fuori Srebrenica, nel 2010 per il quindicinale del genocidio.

I bosniaci dicono che dall’11 al 22 luglio del ’95 sono morte più di 10.000 persone, i serbi sostengono che il numero è molto più basso. Ma, lasciando da parte il balletto di numeri, la cosa sconcertante è l’enorme violenza di quei giorni. A cui si aggiunge il macabro fatto che molte delle persone uccise non sono state ancora sepolte, ma lasciate in fosse comuni. Non è stato mai nemmeno possibile rintracciare l’identità perché la percentuale ritrovata in molti casi, non è ancora sufficiente a definirla in quanto i corpi prima di essere gettati nelle fosse comuni sono stati spezzati in più parti, e sparsi in più fosse comuni.

Quando sono stato a Srebrenica l’ultima volta, ho incontrato molte persone che non hanno ancora seppellito i propri cari. L’11 luglio di Srebrenica è un giorno incredibile, ogni anno una folla immensa porta centinaia di bare in una sorta di funerale collettivo. Mai avevo sentito un dolore così intenso.

Srebrenica è la violenza scientifica, è lo stupro sistematico delle donne. Questa piccola testimonianza vuole essere un contributo a non dimenticare quello che l’uomo ha fatto. E il silenzio del mondo occidentale verso la Jugoslavia degli anni ’90 è veramente incomprensibile, forse perché l’Occidente non ha mai capito molto dei Balcani.

Srebrenica ha rappresentato il fallimento della politica, il fallimento delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. La politica – nel senso istituzionale del termine – ha chiuso gli occhi, e li abbiamo chiusi anche noi. Ricordo l’estate del 1995: a Rimini, a Riccione e su tutta la costa adriatica si ballava e si cantava. E dall’altra parte dell’Adriatico si moriva, si consumavano i peggiori crimini della storia recente dell’Europa. Guardavamo distrattamente verso la ex – Jugoslavia.

Srebrenica è secondo me una piccola Shoah, forse non nei numeri, ma sicuramente nella scelta del genocidio scientificamente portato avanti dai serbi, la stessa logica dei nazisti hitleriani. Credo che la memoria sia fondamentale. Negli ultimi anni mi sono recato più volte nelle scuole per presentare il diario del mio viaggio in Bosnia, diventato libro, proprio perché sento l’importanza della memoria e di trasmettere questa testimonianza alle giovani generazioni. Quindi la scelta di andare nelle scuole a raccontare Srebrenica risiede nella necessità di imparare dalla storia per non ripetere gli errori del passato, anche se purtroppo questo è un vecchio discorso che poco vale, se pensiamo ai drammi che nei giorni nostri si stanno consumando ad esempio in Siria e molti altri paesi del mondo.

La memoria condivisa in Bosnia non esiste e questa cosa mi ha colpito. Il 12 luglio a Bratunac, 11 chilometri da Srebrenica i Serbi di Bosnia ricordano tutti i loro morti. Questo perché la logica è sempre e comunque quella della contrapposizione e non quella della condivisione.

Esquivel, premio Nobel per la Pace, diceva che non c’è pace senza giustizia, ebbene questo a Srebrenica è lampante, lo tocchi con mano, con il cuore… soprattutto quando si vedono a passeggio per le vie della città i carnefici di quei tristissimi anni.

Prima che iniziasse la guerra a Sarajevo la maggioranza delle coppie erano miste, Sarajevo era una città veramente multietnica, un esempio che forse dava fastidio in Jugoslavia. La Bosnia era un esempio reale di convivenza, di capacità di vivere insieme. La guerra ha frantumato questa esperienza, ne ha distrutto l’importanza.

Concludo con una riflessione, facendo mie le parole di Enisa Bukvic, Presidente della Comunità bosniaca in Italia. Enisa scrive dopo una visita alle donne di Srebrenica: “Dopo stasera non riesco più a fare niente: riesco solo a pensare a Srebrenica, a pregare per Srebrenica, a piangere per Srebrenica”. Al sottoscritto capita molto di parlare e pensare alla gente di Srebrenica, così come mi capita di pregare e piangere per Srebrenica.

Stefano Landucci

Stefano Landucci è consigliere comunale. Ha scritto insieme a Marco Bani il libro “Srebrenica per non dimenticare”, edizioni ArtEventBook (2011). Questo intervento è stato pubblicato sul blog perchésinistra

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Pubblicato il: 11 luglio 2014

Argomenti: Mondo, Politica, Sociale

Visto da: 1704 persone

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Una risposta a: Srebrenica, 19 anni fa

  1. avatar nadia chiaverini scrive:

    Invio una mia poesia tratta dal libro “Smarrimenti” 2011

    nel 15° anniversario della strage di Srebrenica
    11/7/1995-11/7/2010

    Tre anni d’assedio delle milizie serbe:
    11 luglio 1995, la resa avvenne.
    Finirà l’ingiustizia

    con i soccorsi dell’ONU
    e poi la Nato ci guarda
    e l’Europa è vicina…

    Così fu tradito un popolo inerme
    guerra di religione ?
    genocidio d’una nazione

    Zona protetta era chiamata/ quella fossa
    fu riempita da ottomila corpi
    nell’indifferenza del mondo
    -mille prigionieri al giorno-

    In un coro di silenzio
    avvenne lo sterminio
    quando il mondo intero
    brindò coi macellai

    Quindici anni dopo non un
    minuto di silenzio in dono
    di più si piange nel giorno del massacro

    Mai più fidarsi, mai più illudersi
    ogni violenza scontata da
    una generazione mutilata
    tomba anonima nella storia/ senza memoria

    Nadia Chiaverini

    da” Smarrimenti” Edizioni Helicon 2011

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