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Di Benedetto: “Facciamo di Pisa un grande polo della conoscenza”

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Salernitano di origine ma pisano di adozione, Andrea Di Benedetto è stato nominato il 18 giugno scorso presidente del Consiglio di amministrazione del Polo Tecnologico di Navacchio, la struttura nata per mettere in contatto il sistema della ricerca con il mondo dell’impresa e partecipata dalla Provincia di Pisa e dal Comune di Cascina (vedi il box in fondo alla pagina). 42 anni, laureato in ingegneria informatica nel 1994 all’Università di Pisa, Di Benedetto nel 2000 ha fondato 3logic MK, azienda che si occupa di immagini digitali e realtà aumentata, nel 2012 ha lanciato SpazioDati, impresa che opera nel campo del web semantico con sedi a Trento e Pisa. Nel settembre del 2010 diventa vicepresidente provinciale della Confederazione nazionale degli artigiani e nel dicembre 2013 sale i vertici dell’associazione di categoria diventando vicepresidente nazionale con delega all’innovazione e al digitale. Nella giravolta di poltrone che sta movimentando l’estate pisana la sua nomina è passata piuttosto inosservata, per questo abbiamo deciso di dedicarle un approfondimento. A PaginaQ Di Benedetto ha raccontato come è andata e cosa vuole fare alla guida del Polo.

Andrea Di Benedetto diventa presidente del Consiglio di amministrazione del Polo Tecnologico in un momento di grandi sommovimenti per le poltrone pisane, è solo un caso?

Si, la mia nomina non è legata a dinamiche di questo tipo. Ero vicepresidente e sono diventato presidente in modo quasi automatico perché con le dimissioni di Sandra Vitolo (l’ex presidente del cda che ha lasciato l’incarico per incompatibilità con le altre cariche ricoperte all’interno dell’Ateneo, ndr), ad un anno dalla fine del mandato (che è di 3 anni, ndr) è stato scelto di non rinnovare completamente il cda con la Provincia che ancora non conosce il suo futuro rispetto ai progetti di smobilitazione. Sono un tecnico, ho creato due aziende, una delle quali ha 10 anni, e credo di avere delle competenze nel settore del trasferimento tecnologico. Spero di poter dare una mano al Polo per la ricerca di una strategia complessiva. Non si tratta di una carica di transizione comunque: alla fine del mandato tireremo le fila, se avremo raggiunto gli obiettivi che ci siamo prefissati potrò proseguire, altrimenti il mandato scadrà e io me ne andrò. Mi sento pisano anche se sono nato a Salerno, a Pisa ho sviluppato una serie di relazioni molto formative. In Italia ti dicono “Pisa, la culla dell’innovazione”, qui manca l’ambizione e la percezione del ruolo che potremmo avere. Spero di riuscire a portare un contributo in questa direzione.

A 15 anni circa dalla nascita, cosa è oggi il Polo Tecnologico?

Nonostante il nome, che di per sé non è molto attrattivo, questo polo ha una dimensione ed una visibilità nazionale importanti. Credo che da questo punto di vista servirebbe un’operazione di marketing che punti al rilancio. Ma quello che serve è soprattutto una spinta in termini di convergenze e sinergie territoriali. Non si può pensare di avere una provincia delle dimensioni di quella pisana con 4 poli tecnologici: Navacchio, Pontech, Peccioli e ora i Vecchi macelli (il progetto del Comune di Pisa legato al Piuss 2015, ndr). Siamo un po’ provincialotti in questo. Se riuscissimo a ragionare in termini un po’ più sistemici potremmo mettere su un progetto di trasferimento tecnologico più ambizioso. Navacchio deve diventare la struttura di riferimento almeno a livello regionale e, perché no, anche nazionale. Non dobbiamo volare basso, vogliamo diventare produttori di innovazione per la grande manifattura italiana ed europea.

 

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A proposito della necessità di fare sistema, che ne pensa del progetto legato al Piuss 2015 che prevede la costruzione di un altro luogo dell’innovazione nell’area dei Vecchi macelli?

Ho sentito più versioni sulla strategia che seguirà questo nuovo luogo. Ho parlato con gli amministratori, penso che l’idea del Comune per il Science Center sia di fare una semplice vetrina dell’innovazione pisana. Museo della scienza e visibilità per le startup in una zona centrale della città. È evidente che c’è una vocazione diversa da quello che facciamo qui a Navacchio. Credo però che non si possa fare un’operazione del genere, perché non regge economicamente e perché sarebbe sprecata senza collegarla ai soggetti da “esporre”. Per questo sto cercando di parlare con i vertici di Università e Cnr e con le amministrazioni per convincerli del fatto che noi abbiamo bisogno di una filiera completa dell’innovazione. Abbiamo ricerca di base in abbondanza, manca invece un luogo di prototipazione delle idee, quello che in gergo giornalistico sono chiamati fab-lab, che sono sono fondamentali nella catena del processo. Dovrebbe essere un luogo dove si “filtrano” le idee che nascono all’Università o al Cnr, una sorta di pre-incubatore. Poi ci sono gli incubatori come il nostro, gli acceleratori e gli insediamenti aziendali. A Pontedera, con Pontech, si fa la ricerca applicata all’industria. I Vecchi macelli potrebbero diventare un luogo simbolico e significativo solo se diventano la vetrina di tutto l’ecosistema dell’innovazione pisana.

Quest’anno i dati di bilancio sono in ritardo ed arriveranno dopo l’estate. Il Polo grava sul bilancio degli enti locali?

No, ci sono stati gli investimenti iniziali delle amministrazioni, di natura soprattutto immobiliare nell’ambito di un’operazione che ha permesso la riqualificazione dell’area nella quale siamo insediati a Navacchio. Il Polo funziona grazie ai finanziamenti europei e regionali ed a quello che ricava mettendo a disposizione delle imprese che ospita strutture e servizi. Non abbiamo distribuito dividendi ai soci (Comune di Cascina e Provincia di Pisa, ndr), ma non credo che il Polo debba essere fatto per questo. Dobbiamo creare una piattaforma abilitante perché questa economia parta. In Italia, ma in generale in Europa, non si sono ancora trovati modelli che permettano alle strutture che fanno trasferimento tecnologico di auto-sostenersi. In Italia si va avanti con il sistema dei finanziamenti pubblici oppure con i capitali privati ad alto rischio, secondo questa logica: “io incubo 30 aziende, 20 falliscono, 9 tirano a campare e una fa il botto. Con in soldi di quella che sfonda io mando avanti tutto”. Questo è un modello rischioso che ha funzionato in California nel corso di un determinato periodo. Mi sembra impossibile muoversi secondo questa logica qui e adesso.

Qual è invece il modello di sostenibilità del Polo di Navacchio?

Insieme ad Alessandro Giari (ex presidente del Cda e oggi Direttore Generale, ndr) da circa due anni stiamo lavorando ad un modello più evoluto, che richiede una visione un po’ più illuminata anche da parte delle grandi imprese della manifattura, l’anello debole della catena. Negli Usa le grandi aziende stanno dismettendo i grandi centri di ricerca privati, perché la ricerca per l’innovazione fatta internamente è troppo cara, poco flessibile e troppo lenta. Non puoi più puntare sul piano a 5 anni dove metti 100 premi Nobel chiusi in un posto isolato per fargli trovare un’idea. I centri che fanno innovazione nelle grandi aziende ormai vanno a comprare l’innovazione all’esterno. Dal know-how si passa al know-where, non è importante saperlo fare ma sapere dove andarlo a prendere. Questo è quello che vorremmo fare noi, produrre innovazione per l’impresa. Abbiamo un tessuto di piccole e medie imprese dinamiche, versatili ed innovative, non dobbiamo però stare ad aspettare sperando che qualcuno reinventi Facebook. Non abbiamo né i capitali né i mercati per farlo. Credo che l’ecosistema dell’innovazione italiana debba cominciare a pensare di diventare un produttore di innovazione per altre aziende. Questa non è una visione riduttiva, ma anzi molto ambiziosa.

Il Polo Tecnologico è nato alla fine degli anni ’90 con alla base l’idea di sostenere il settore del mobile e renderlo competitivo per i mercati del terzo millennio. Quali sono i vostri obiettivi oggi?

Negli Stati Uniti i luoghi ad alto tasso di capitale umano sono diventati i veri poli del Pil americano. Per questo oggi negli Usa si stanno ridisegnando gli hub del lavoro americano intorno all’economia della conoscenza. A Pisa abbiamo la più alta densità di capitale umano in Italia, questo vuol dire che il rapporto tra laureati, professori e ricercatori è il più alto. Abbiamo 3 poli (poi saranno 4), 3 Università e uno dei più grandi insediamenti del Cnr in Italia. Pisa deve giocare questa partita e diventare uno dei 2-3 poli della conoscenza in Italia. A quel punto sarebbe possibile attrarre investimenti, chiamando aziende e offrendo un vero ecosistema della conoscenza. Con 10 aziende disposte a spendere 500mila euro l’anno il modello sarebbe sostenibile. Tutto questo non si fa senza l’Università e il Cnr, è delittuoso pensare che ognuno tenda a coltivare il proprio orticello. O vendiamo il sistema dell’innovazione pisana, o toscana, oppure nel mondo siamo ridicoli.

Come sono i rapporti con le banche del territorio?

Le banche hanno subito un processo di allontanamento dal territorio. Gli accorpamenti e le fusioni che hanno seguito la crisi internazionale hanno avuto questo come conseguenza. Conta più conoscere bene il tuo cliente che leggere un bilancio. Il modello Basilea non è adatto al mercato italiano, è la cosa che un po’ ci ha ucciso. Pensare di valutare le mosse delle imprese su parametri anglosassoni significa che noi non riusciamo ad individuare bene quelle virtuose. Le imprese hanno bisogno di più capitali e per decenni invece abbiamo fatto innovazione col debito. Siccome in Italia non c’è la struttura di capitale capace di sostenere l’innovazione, le aziende hanno chiesto i soldi alle banche. Occorrono politiche che favoriscano la capitalizzazione delle imprese, piccole e grandi. Per l’innovazione servono i capitali. E bisogna far uscire gli imprenditori dalla logica dell’azienda e mia e non la dò a nessuno. Succede con tante belle imprese familiari. Non condivido l’idea che l’impresa è bella perché è familiare. Serve il talento, serve un’economia un po’ meno familistica e più legata ai capitali che alle banche. La Banca Credito Cooperativo di Fornacette, il nostro socio, ha fatto molto bene questo tipo di lavoro. È una banca piccola ed il direttore ha relazioni dirette con i suoi clienti, ha aiutato le aziende ad avere un management serio ed idee valide. Lavorando più sul capitale umano che su gli indici di bilancio. Per il resto le banche sono in difficoltà, non hanno capacità di erogare credito, non sono loro che ci salveranno, speriamo che non siano quelle che ci affossano.

Dopo un’espansione più o meno continua con la costruzione dei 3 lotti c’è stato un rallentamento nell’espansione del Polo. A che punto sono i lavori per il IV lotto?

Ci sono state una serie di vicissitudini a partire dal furto dei cavi del rame. I lavori sono finiti, mancano le rifiniture ma c’è già un’azienda insediata. Aspettiamo nuove richieste. Stiamo valutando l’ipotesi di inaugurare le nuove strutture a settembre. La sensazione è che ci sia ancora richiesta, che l’attrattività del polo non sia finita.

La smobilitazione della Provincia vi fa paura?

No, se le quote della Provincia dovessero andare alla Regione potrebbe essere positivo per la nostra aspirazione a diventare punto di riferimento a livello nazionale. Ma non so quanto sia chiara a livello dello Stato la questione della riorganizzazione delle competenze. Ci farebbe comunque piacere avere un socio propulsivo e non uno che per forza di cose in questo momento è fermo. Poi non c’è nessun tipo di intralcio, la Provincia non è dentro le pratiche operative del Polo, e gli assessori coinvolti hanno sempre avuto ben chiara la distinzione tra proprietà, cda e management della struttura.

 

COS’È IL POLO TECNOLOGICO

Il progetto del Polo Tecnologico di Navacchio nasce alla metà degli anni ’90 grazie all’iniziativa del sindaco di Cascina Carlo Cacciamano e della Provincia di Pisa. Si decide di sfruttare i finanziamenti europei di obiettivo2, che servono a favorire la riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali. L’area individuata è quella dell’ex distilleria di Navacchio, la più grande in Toscana e diretta in passato dal padre di Cacciamano. L’idea è quella di creare un polo capace di mettere in contatto il mondo della produzione con quello della ricerca, offrendo anche ai piccoli imprenditori servizi di ricerca, innovazione tecnologica e commercializzazione. Una vera e propria pioggia di miliardi europei quella che arriva a Pisa dalle casse dell’allora Comunità europea, nei confronti dei quali il territorio si dimostra particolarmente ricettivo. A livello regionale la provincia di Pisa si aggiudica infatti la maggior parte dei finanziamenti dell’obiettivo2 relativi al periodo 1994-96 ed a quello 1997-99. A Cascina, oltre al Polo Tecnologico, i fondi vanno ad alimentare la costruzione del centro commerciale Centro dei Borghi, il teatro Politeama e Virgo, rivelatore di onde gravitazionali. Operazioni per un totale di circa 200 miliardi di vecchie lire finanziate da Ue ed enti locali. Il primo lotto è concluso all’inizio del 2000, con la costruzione del secondo lotto Comune e Provincia si svincolano dai finanziamenti e restano all’interno della società che gestisce il Polo. Nel 2004 la Provincia di Pisa diventa socio di maggioranza con il 50,34% delle quote. Ad oggi dentro la struttura di Navacchio sono installate 50 tra imprese ad alta tecnologia e laboratori di ricerca attivi nei settori ITC, microelettronica, biomediacale, robotica, energia ed ambiente, per un totale di circa 700 addetti.

Foto di Federico Bacci – Facebook

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Pubblicato il: 9 luglio 2014

Argomenti: Economia-Lavoro, La Piana, Pisa

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