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“Cercando la verticale”, con Riccardo Chetoni alla chiesa della Spina

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Decorato, brevettato, piatto o a “ghianda”, pesante diversi chili o leggero e in legno per non rovinare le superfici con cui viene a contatto, dietro la storia dei fili a piombo ci sono anche le storie dei tanti mestieri che lo hanno usato e che ne hanno segnato lo sviluppo, la passione, contribuendo al fascino che questo strumento esprime.

Riccardo Chetoni ha iniziato a collezionare i fili a piombo oltre 30 anni fa, e il frutto della sua ricerca consiste in oltre 2.000 esemplari, il più antico dei quali viene dall’Egitto e dal 300 a.C., mentre il più recente risale agli anni ’60 del secolo scorso, periodo che coincide con la drastica riduzione della produzione artigiana. In mezzo c’è tutta la storia di un oggetto intuitivo e potentissimo, che ha dato il nome alla proprietà geometrica della perpendicolarità, perpendiculum appunto, cioè lo strumento che pende sospeso tendendo sempre al basso.

 

 

Galileo alle prese con il problema del calcolo esatto dell’altezza di una parete, “essendo che da qualsivoglia punto del palco si possono tirare infinite linee, e curve e rette, e tutte di infinita lunghezza”, domandandosi così quale fosse la vera altezza, diceva: “Io attaccherei un filo al palco, e con un piombino, che pendesse da quello, lo lascerei liberamente distendere sino che arrivasse prossimo al pavimento; e la lunghezza di tal filo, essendo la retta e brevissima di quante linee si potessero dal medesimo punto tirare al pavimento, direi che fusse la vera altezza di questa stanza”.

Questa ricerca della verticalità assoluta, a partire dal punto più alto, materia prima di simbologie, di origini e usi diversi, che ne hanno elevato la dimensione di tensione e congiunzione fra cielo e terra in stato di equilibrio.

“Ho scoperto il primo filo a piombo in un cantiere, e forse suggestionato dal vivere a Pisa mi sono avvicinato a questo strumento e da lì è nata la passione”, spiega Riccardo, ingegnere, mentre finisce di allestire l’esclusiva mostra “Cercando la verticale”, che sarà aperta alla Chiesa della Spina dal prossimo 3 giugno – inaugurazione alle 18 – e per tutto il mese. Moltissime le origini dei suoi fili a piombo: italiane, francesi, olandesi, tedesche, portoghesi, inglesi, americane, afgane, egiziane, iraniane e cinesi. Ma è il made in Usa che fa della mostra alla Spina un’esposizione particolare, con più di 600 fili a piombo marcati dai produttori, “la più grande esposizione ad oggi”.

Moltissimi gli usi, inoltre, e gli stili. Lungo i pannelli alla Spina cambiano i luoghi e cambiano i materiali, e si trovano fili non più piombo ma a bronzo, ottone, avorio o riempiti di mercurio per renderli più pesanti. Ci sono i piombi da 7 chili “per inaugurare le grandi opere, come nella tradizione anglosassone”, e ci sono quelli piatti, “per lo più di provenienza francese ma di origine gallo-romana, usati dai carpentieri per le costruzioni in legno, dove li posizionavano sotto la struttura per verificare con precisione la verticalità della parete”. E i rarissimi fili a piombo usati per le miniere, “con serbatoio e stoppaccino, che venivano accesi e servivano per illuminare i tracciati delle gallerie, retti da catene al posto del filo”.

Ogni due anni i collezionisti di fili a piombo si riuniscono per una convention internazionale; negli anni passati si è tenuta a Istanbul, Parigi, Colonia e Atene. Quest’anno si incontrano a Pisa, il 16 giugno al Palazzo Fiumi e Fossi, nell’evento clou di un’iniziativa che si offre come finestra aperta su una storia poco nota che ha molto da raccontare.

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Pubblicato il: 31 maggio 2014

Argomenti: Cultura, Pisa, Tech

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