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DiSbieqo Maps to the star

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di David Cronenberg (2014)

[…] Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.
Paul Eluard

Maps-to-the-stars-teaser-posterCome sempre, impossibile restare pacatamente impassibili di fronte ad una pellicola di David Cronenberg.
Proiettato a Cannes pochi giorni fa, il film vanta un cast d’eccezione: Julianne Moore, Robert Pattinson, John Cusack e Mia Wasikowska. Tutti bravi, va detto.
È la storia della famiglia Weiss, non proprio una normale famiglia americana, ma una famiglia hollywoodiana disfunzionale e stravagante. Il padre, Stafford, interpretato magnificamente da John Cusack è un guru del business mediatico di “auto-aiuto”, fissato con il lusso architettonico di tendenza. La madre, una manager, si occupa della carriera del loro figlio adolescente Benjie, interpretato da Evan Bird, èuna star esordiente di serie tv di successo che ha problemi di dipendenza da droghe. L’ultima componente della famiglia, Agatha,  una splendida e irriconoscibile Mia Wasikowska, sfregiata sul viso da ustioni è colei che entra in scena per prima: una steady-cam attraversa il corridoio di un bus e ce la fa “scoprire” addormentata su un sedile. Ecco: l’ultimo ingrediente di quella che sarà un’esplosione di conflitti irrisolti e dinamiche patologiche della famiglia.
Julianne Moore, a suo agio nella parte, interpreta Havana, attricetta un po’ fallita che si vanta di far parte della schiera di Hollywood, con problemi irrisolti di trauma infantile legato all’incesto da parte della madre, Clarice, una vera star degli anni ‘60 di cui stanno per girare un remake a cui Havana vuole disperatamente partecipare come protagonista.

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Cronenberg, senz’altro favorito da una bellissima sceneggiatura a firma Bruce Wagner, condisce le relazioni dei personaggi con quel tocco stravagante e assurdo che solo lui possiede. Il film, a momenti sul tono da commedia, scivola nel dramma familiare, sfaccettato in regressioni dolorose belle scene quelle di Avana a terapia da Sanford  e in patologiche relazioni. Ma va anche oltre. Indaga le relazioni malate e vuote delle star, le ossessioni del successo, dell’apparire, del denaro. Benjie, adolescente adultizzato, ha fatto suo il peggio del mondo adulto: è avido, spocchioso, malvagio. Agatha è il personaggio forse più “normale” nella sua patologia ufficializzata. Il “viaggio” della famiglia, entrato in corto circuito, mostrerà, infine, solo la parte malata, malvagia e abbandonica è molto doloroso il distacco violento con cui Agatha viene respinta dalla famiglia fino a una fine estremamente accelerata emotivamente e con scene forti e un po’ dilatate nel sangue e nella violenza.

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Alcuni temi, però, girano intorno a se stessi, in una spirale di ritorni e citazioni con un ritornello snervante di una poesia di Paul Eluard ripetuta a più riprese senza davvero trovare requie. Cronenberg osa ma non lo fa fino in fondo, i personaggi, uno ad uno, crollano sotto il peso del dramma, ognuno a suo modo.

La scena finale bella la fotografia del film è il climax della tragedia: i due fratelli ritrovati nel dramma finale, una fuga salvifica per entrambi, finalmente liberati nell’incestuoso rituale del matrimonio, si adagiano per terra, mano nella mano; e la macchina da presa, lentamente, se ne distacca, con un movimento verso l’alto che si fa opposto a quello inziale in cui si andava a “scovare” il personaggio. Il film è finito, ma l’ansia del pensiero morboso che ci ha innescato, il malessere dell’escalation emotivo, ci accompagneranno per un po’.

 

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Scritto da:

Pubblicato il: 25 maggio 2014

Argomenti: Cinema, DiSbieqo, Quaderni

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