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Cosa è il Jobs Act?

jobs-act

di Raffaele Galardi*

L’uso di inglesismi serve a non far comprendere ciò che si vuol dire al proprio interlocutore.
Questo mi disse una volta un mio collega di studi mentre ascoltavamo un intervento anglofilo di un italianissimo relatore.
Da allora ogni volta che mi imbatto in abusi di inglesismi metto alla prova tale teorema.
Il teorema è stato confermato anche dalla riforma del lavoro che prende il nome di Jobs Act.

Sono più di quattro mesi che lo Jobs Act ha invaso le nostre vite ma concretamente pochi (davvero pochi) sono stati in grado di comprenderne i contenuti.
Quel che si legge è fuorviante.
Proviamo a capirne qualcosa.

Innanzitutto cominciamo col dire che l’utilizzo al singolare della parola act è sbagliato perché ad oggi il cd. Jobs Act si compone di due diversi provvedimenti.
Uno è già in vigore ed è un decreto legge (del 20 marzo 2014, n. 34) che ha modificato il contratto a termine.
Il decreto legge è in attesa di conversione da parte del Parlamento. La legge di conversione è stata approvata, con qualche modifica, dalla Camera ed a breve sarà oggetto di verifica ed approvazione da parte del Senato.

L’altro è un disegno di legge (il nr. 1428) di iniziativa governativa, che è stato presentato al Senato qualche giorno fa e con il quale si intende delegare il Governo ad approntare una riforma complessiva di ammortizzatori sociali, di servizi per il lavoro e delle politiche attive, per il riordino dei rapporti di lavoro e per il sostegno alla maternità e alla conciliazione.
Il disegno di legge delega è stato appena assegnato alla Commissione Lavoro del Senato e pertanto siamo ben lontani dal comprendere quali siano i suoi contenuti.
Possiamo quindi soffermarci solo sulle modifiche introdotte dal primo dei due provvedimenti al contratto a termine.

Il decreto legge ha previsto anche delle modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato e qualche minimo ritocco ai contratti di solidarietà.
Analizzeremo solo gli aspetti più eclatanti del provvedimento in materia di contratto a termine.
Per capire l’entità delle modifiche dobbiamo partire da una sommaria esposizione di quanto c’era prima.

Come recita ancora oggi l’incipit della legge che regola la materia, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è la forma comune di rapporto di lavoro. Oltre la forma comune, veniva consentita l’apposizione di un termine alla durata del rapporto in via eccezionale e solo in presenza di specifiche condizioni. La prima, e più rilevante, limitazione consisteva nella previsione di una specifica causale giustificativa dell’assunzione a termine. In sostanza il datore di lavoro, per poter assumere a termine, doveva prevedere, per iscritto, le specifiche ragioni (tecniche, organizzative, produttivo o sostitutive) che fondavano la temporanea esigenza di assumere.
La centralità della causale era dimostrata anche dalla reazione sanzionatoria. Se la causale non c’era o era generica o posticcia, il Giudice, su domanda del lavoratore, convertiva il rapporto in lavoro a tempo indeterminato e condannava il datore di lavoro ad un risarcimento del danno con tempo divenuto forfetario (compreso tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione).
Il contratto a termine, poi, poteva essere prorogato una sola volta. Per proroga si intende un differimento degli effetti iniziali del contratto.
In tutti i casi, dal 2007, c’è un limite temporale assoluto. Il rapporto di lavoro a termine, comprensivo di proroga, non poteva superare i 36 mesi, decorsi i quali il lavoratore veniva considerato a tempo indeterminato.
Su questo impianto generale è intervenuta poi la legge Fornero che ha previsto, in via eccezionale, che il primo contratto a termine potesse essere sprovvisto della causale giustificativa purchè esso non fosse superiore a 12 mesi.

Riassumendo: il rapporto di lavoro a tempo indeterminato era il rapporto di lavoro generale, il rapporto di lavoro a termine l’eccezione purchè vi fosse un’esplicita e specifica causale giustificativa. Vi era poi un’eccezione all’eccezione nel senso che si consentiva, per il primo contratto a termine, un’a-causalità per i primi 12 mesi.

Il compromesso regola-eccezione è stato spazzato via dalla riforma del Governo Renzi.

Lo Jobs Act ha eliminato completamente la necessità di una causale giustificativa dell’apposizione del termine.
Oggi, si può assumere a termine senza la prevedere una clausola che giustifichi la temporaneità dell’assunzione.
L’effetto della riforma è quello di liberalizzare totalmente il contratto a termine.
Tra gli altri aspetti della riforma, viene comunque ribadito il limite massimo di durata di un rapporto a termine (36 mesi) e si stabilisce un limite numerico alle assunzioni a termine che non possono essere superiori al 20% dell’organico complessivo.
Lo Jobs Act ha esteso il numero di proroghe ammissibili. Secondo il decreto legge sono possibili, fermo il limite massimo dei 36 mesi, al massimo otto proroghe.
Sul punto, peraltro, la legge di conversione approvata dalla Camera ha ridotto il numero delle proroghe da 8 a 5.
Quelle indicate sono le reali modifiche apportate dallo Jobs Act.

Non mi sento di prendere una particolare posizione nel merito delle modifiche.
Sicuramente la liberalizzazione del termine risponde alle esigenze di flessibilità delle imprese, soprattutto per il periodo di crisi che stiamo vivendo.
Paradossalmente ci potrebbero essere anche effetti non negativi per il lavoro cd. precario, ed in particolare per i giovani.
La liberalizzazione del contratto a termine potrebbe generare una maggiore appetibilità di tale tipologia contrattuale in luogo invece delle iper-precarie figure dello stage, del tirocinio, della borse di studio, della partita iva e della collaborazione a progetto. Rispetto a tali figure il contratto a termine è pur sempre un contratto di lavoro subordinato con tutte le garanzie connesse (retribuzione stabilita dai contratti collettivi, orario di lavoro predeterminato, ferie, tutela della malattia e degli infortuni, tutela della maternità, maggiore copertura previdenziale).

Ritengo doveroso prendere posizione sulle modalità con le quali si è proceduto alla riforma.
Per un tema così importante sarebbe stato opportuno coinvolgere le parti sociali.
Su un tema così importante, poi, sarebbe stato necessario informare meglio. Il tema è stato invece affrontato in maniera parziale e minimizzante dai media.
Per non dare addosso al nascente ed operoso Governo si è cercato di ovattare gli effetti della riforma. Dai giornali e dai social abbiamo letto che, in fondo, con lo Jobs Act  non si è fatto nulla di nuovo ma si è semplicemente esteso (da 12 a 36 mesi) ciò che prima era già possibile (stipulazione di un contratto a termine a-causale).

Questo mi ricorda molto l’abuso degli inglesismi di cui parlavo sopra.
La realtà è un’altra: lo Jobs Act deve essere ricordato per aver liberalizzato il contratto a termine.

 

*Avvocato del lavoro

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Pubblicato il: 1 maggio 2014

Argomenti: Economia-Lavoro, Politica, Sociale

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