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Una voce, un paese: il nostro. Giovanna Marini racconta Giovanna Daffini

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Una chiaccherata informale con Giovanna Marini intorno al personaggio di Giovanna Daffini (Villa Saviola – Mantova 1913 / Gualtieri – Reggio Emilia 1969), mondina, cantastorie e cantante, figura di primissimo piano e levatura del movimento di riscoperta del canto popolare e proletario italiano degli anni ’60.

 

Allora dimmi tutto: vuoi sapere della Daffini?

Sì. Prima però mi incuriosiva quale pensi sia la ragione per cui, passati 45 anni dalla sua morte, qualcuno ti cerca per parlare di Giovanna Daffini, oggi.

Perché in questi anni sono aumentati l’interesse e la curiosità per il destino delle donne, questo bisogna ricordarcelo. Basti pensare a quanti movimenti sono nati, dappertutto, in Francia, in Europa: le donne si sono imposte come una problematica, sono misteriosamente in cammino progredendo a passi da gigante in tutti gli aspetti della vita, nei rapporti coi compagni, nella famiglia, nel lavoro… Ormai tutti sanno che dovendo dare un incarico di responsabilità è meglio affidarlo ad una donna (ride). In questo clima capisco che una donna come la Daffini, che si è fatta da sola, che cantava prima da cantastorie per le strade ed è poi arrivata nei teatri, che ha contribuito a costruire ed influenzare la cultura del nostro paese, possa anche rappresentare un riferimento in questa nuova aria che si respira, ecco.

Per quel che riguarda lei in specifico, il suo lavoro e quello che ha fatto e che ci ha tramandato, quello per cui tutti in fondo la conosciamo vorrei però dirti: guarda bene che la Daffini non cantava esattamente come le mondine. Aveva si tutto il loro repertorio, quello che ha insegnato a tutti noi, tra cui Bella Ciao che prima nessuno conosceva, è lei quella che ci ha passato tutto questo. Ma andava dicendo, ed era vero, che il suo repertorio era quello d’opera, ed era l’operetta. Lo cantava deliziosamente, irrompendo in un mondo musicale molto diverso dal suo, ma con una grinta, una passione e una grazia che era anche divertentissima perchè cercava di imitare la Torrieri, il suo vibratino. Questa è la chiave per capire a fondo il personaggio.

 

 

Invece il vostro gruppo, voi giovani di allora che ricercavate, studiavate e reinterpretavate questa cultura popolare, contadina che poi era la sua: con che occhi vi guardava Giovanna Daffini?

Noi eravamo i giovani, sì. Dei giovani che lei chiamava “i studenti”. E diceva sempre “eh giovani, dimmi un po’ come si dice questa parola?”, e cose così. Ci prendevamo reciprocamente in giro con molto affetto, venne anche a casa mia e mi diceva come amministrare la casa, stava in cucina, mi spiegava come fare le cose… era veramente simpatica, Giovanna. Oltre ad essere una persona molto generosa, intelligente e vivace.

Del ’68 cosa pensava Giovanna Daffini? Erano quelli gli anni.

Questo non te lo so dire, ma sai, per lei gli studenti erano un altro mondo, un’altra cosa. Lei ogni tanto ci diceva “ma va là, va là”, ci stuzzicavamo a vicenda. Quando siamo arrivati al mare (e quando lo vide, il mare!) ma non aveva un costume, allora si tirò un po’ su la sottoveste, si tolse le scarpe e stava curva con le gambe in ammollo raccogliendo l’acqua con le palme delle mani. Ivan (Della Mea) le diceva “oh mondina! Sei mica alla monda qua! Ma tirati su!”. E la Daffini allora gridava “uè student’!”. Se ne dicevano di tutti i colori per la gioia degli altri che se ne stavano sotto l’ombrellone a godersi queste scenette. Ecco com’era il nostro rapporto.

Cosa votava Giovanna Daffini?

Ah, comunista! Sempre comunista, non aveva dubbi su questo.

Ha ancora senso al giorno d’oggi parlare di “altra cultura” come facevate allora?

Quello che chiamavamo cultura “altra” è tutto quello che rappesenta la tradizione orale, e questo continuo a dirlo anche adesso. Però attenzione, è una cultura simbiotica con la cultura classica. Si sono sempre passate le note, le informazioni musicali, le strutture. Quando parli di discanto: il discanto è una forma popolare, contadina, di tradizione orale; è divetata poi, forma colta. C’è un passaggio continuo, persino i Lieder di Schubert, per fare un esempio banale, hanno un’origine contadina.

La Daffini stessa, come forse sai, era sposata ad un violinista d’orchestra, Vittorio Carpi. Il Professore come lo chiamava. Cercava sempre di proteggerlo in qualche modo, lui era una persona come dire… ci trattava da sottosviluppati perchè era appunto il professore, lui sì che sapeva la musica. Noi ci scherzavamo, lo prendevamo in giro e Giovanna era sempre a dire “e su, e su, e state buoni” perchè poi lui si arrabbiava. Lo amava molto il suo Professore.

Bella Ciao: dobbiamo alla Daffini e al Nuovo Canzoniere Italiano la sua diffusione e conoscenza, no?

Certo che la diffusione è stata fatta da Gianni Bosio, dai nuovi canzonieri, dai libretti. Loro pubblicavano ogni sei mesi un nuovo canzoniere che era un libretto con tutte le canzoni che ci avevano insegnato in giro per l’Italia. Anche le vecchie canzoni fatte dai Cantacronache di Torino: Michele Straniero, Sergio Liberovici, Fausto Amodei. E le canzoni che andavamo via via accumulando, quelle di Giovanna, che erano arrivate da poco.
Era stato un incontro fondamentale quello tra il Nuovo Canzoniere e la Daffini.
Quindi si può dire, sì, che è Giovanna quella che l’ha diffusa, perchè lei ce l’ha inseganta e noi abbiamo continuato a cantarla ed insegnarla anche dopo la sua morte.

Un’ultima domanda: possiamo considerare Bella Ciao il nostro inno nazionale? Dell’Italia Repubblicana, intendo.

Mah, forse sì, non so che dirti. Secondo me però nel cuore della gente l’inno nazionale è Va Pensiero. Sono tutti stati fregati dalla Lega che tra l’altro ha fatto pure un clamoroso errore storico. Peccato perchè quello era.. anche all’estero cantano quello. Non è il Bella Ciao, Bella Ciao è l’inno della guerra partigiana, l’inno della Resistenza.

Parlavo appunto di Italia Repubblicana perchè tutto sommato Bella Ciao, che è diventato un canto se vuoi di una parte sola, nella realtà rappresenta una fascia ampia di persone, la Resistenza l’hanno fatta i comunisti ma insieme ai cattolici e tanti altri.

Come la costituzione, insomma.

 

In copertina – Venaria Reale (Torino) Parco Basso 1965
/ Giovanna Daffini
1 – Venaria Reale (Torino) Parco Basso 1965
/ da sinistra: Hana Roth, Caterina Bueno, Sandra Mantovani, Giovanna Daffini
2 – Venaria Reale (Torino) Parco Basso 1965
/ Caterina Bueno, Sandra Mantovani, Giovanna Daffini e Paolo Chiarchi – chitarra
3 – Venaria Reale (Torino) Parco Basso 1965
/ Bruno Pianta, Hana Roth, Giovanna daffini – chitarra, Caterina Bueno

Fotografie: Riccardo Schwamenthal / per gentile concessione dell’Istituto Ernesto de Martino

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Pubblicato il: 25 aprile 2014

Argomenti: Cultura, Sociale

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