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DiSbieqo Noi 4

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Dopo Scialla! del 2011, seconda prova di regia per Francesco Bruni, lo sceneggiatore livornese che per anni ha scritto le sceneggiature di Paolo Virzì.

Noi 4 è la storia di una famiglia normale, o meglio, quasi. Ettore e Lara sono due genitori separati da tempo e pieni di rancori accumulati e Giacomo ed Emma i loro due figli, rispettivamente di 13 e 23 anni. Nessuna famiglia allargata, che piace spesso alle pellicole italiane, nessun colpo di scena fenomenale, nessuna lezione di vita – di quelle che dovrebbero strappare l’applauso – solo una giornata di una famiglia di 4 persone. Sta forse qui la novità e anche la semplice genuinità del film?
noi-4_cover Giacomino ha l’esame di terza media, occasione preziosa per rimettere insieme il teatrino della “famiglia unita” che si riunisce per le occasione importanti anche se babbo e mamma non si amano più. Già, perché la mamma – ingegnere seriosa e dispotica – porta a casa la pagnotta da tempo, mentre il padre – un Gifuni che sembra fare il verso ad un tardone di 45 anni – si diverte a rimanere disoccupato senza lavorare (figlio di famiglia nobile, ohi), con quell’atteggiamento da giovane padre in motocicletta che non ha in tasca nemmeno due spiccioli.
Comunque disfunzionale questa famiglia, ben circoscritta dentro una quadrato edipico sdoppiato che si palleggia situazioni di relazione a due: figlio-madre, figlia-padre, figlia-madre, figlio-padre, fratello e sorella. Ecco che le relazioni si complicano di echi e di rimandi. La mamma – Kseniya Rappoport – stressata e ansiosa patologica ha una mania del controllo su tutti i componenti della famiglia e lo esercita continuando a impartire ordini dal cellulare. Lui, invece, non reagisce quasi mai alle interazioni; ritardi, non risposte, omissioni e bugie ne fanno un personaggio tra l’ambiguo e il superficiale.

Emma – Lucrezia Guidone che ci ha davvero poco entusiasmati nell’interpretazione dove anche due lacrime stentano a diventare verosimili – è un personaggio poco azzeccato, come del resto un po’ tutti quelli femminili. Manca quel qualcosa che ce la fa capire fino in fondo, che ce la fa sentire “vera”. Il film non supera la prova di una caratterizzazione riuscita sul versante femminile; solo la zia Nicoletta è ben interpretata da Raffaella Lebbroni e anche l’amica Alberta non è male, una Milena Vukotic che si fa silenziosa ma molto espressiva.

Il vero gioiellino è l’esordiente Francesco Bracci Testasecca, che dalla sua candida timidezza si rivela il personaggio più riuscito, ragazzino nel giorno del suo primo esame che si ritrova a gestire situazioni incasinate di una famiglia schizzata e stanca. Saggio e coerente, saprà giostrarsi le situazioni e superare la prima prova della sua vita. La famiglia, nonostante tutto, si sente, nei suoi affetti e nei suoi legami anche se deteriorati dalla relazione genitoriale.

Interessante l’ammicco xenofobo contrario. Una ragazzina cinese, sulla quale cade l’interesse di Giacomo, si fa portatrice di battute divertenti che ci fanno sorridere amaramente: “La mia famiglia non vuole che frequenti ragazzi italiani perché gli italiani sono poco lavoratori”. In effetti sarà la famiglia cinese a “offrire” forzatamente il pasto a Giacomo e al padre, che fa la figura dell’italiano scroccone. La sceneggiatura funziona assai bene – è la cosa migliore del film – e la fotografia non è male, con molte belle inquadrature su una Roma naturale e vera, quella del quotidiano, dei rumori, senza patina e senza arte e artifici.

Ma come mai alla fine si ha l’impressione che non si accetti davvero la separazione? Perché c’è il bisogno di girare paranoicamente intorno all’amore che ha come oggetto “l’amore che fu”? Questo sembra il versante più fragile del film, quel tornare indietro al passato e percepirlo come possibile nella sua evidente impossibilità comunicazionale. Bella la prima scena che partendo da esterni romani rischiarati dal primo sole, si adagia sui corpi che dormono dei vari personaggi sparsi in luoghi diversi, per ostentare quel legame di famiglia anche attraverso il montaggio alternato. Piace meno la scena in auto di morettiana memoria con la canzone del passato cantata a squarciagola: retorica tipica di alcuni film già visti.
Ci piace, soprattutto, il palcoscenico protagonista delle sequenze girate in teatro: il Valle occupato di Roma, che si fa omaggio a un’arte e alla sua resistenza.

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Pubblicato il: 22 marzo 2014

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 1136 persone

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