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Un’arte che sa parlare direttamente al cuore. Il potere del tratto inciso nell’opera di Silvia Rocchi

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Intervista di Alessandra Ioalé

È la prima volta che realizzo un’intervista a un autore di fumetti, ma come si dice “mai dire mai”, nella vita c’è sempre una prima volta. Per mia fortuna e grande piacere, il mio battesimo è con la giovane autrice Silvia Rocchi, che si appresta a portare, questo Sabato 22, al Cinema Caffé Lanteri di Pisa la mostra degli originali, con le relative matrici xilografiche, tratti dalla sua ultima fatica, L’esistenza delle formiche un omaggio a fumetti su Tiziano Terzani edito da BeccoGiallo, di cui è prevista una bella presentazione dalle ore 18.30 nella Redrum del Lanteri.

Ciao Silvia. Prima di tutto parlaci un po’ di te, dei tuoi inizi nel fumetto e dei tuoi studi.

Ciao Alessandra, come prima cosa posso dire che ho sempre avuto una grande passione per il fumetto pur non essendo molto attratta da quello classico, mi mancano infatti molte delle letture fondamentali. Nonostante questo sono cresciuta con l’idea che è il mezzo ideale per raccontare, quantomeno per me. Ho una formazione accademica, ho studiato prima pittura poi illustrazione, tra Firenze e Bologna, per poi arrivare all’incisione frequentando per alcuni mesi la stamperia Il Bisonte. Questo ha fatto sì che all’interno delle pagine di un racconto mi senta libera di usare una tecnica piuttosto che un’altra, cercando di gestirle nel formato libro.

La tua ultima pubblicazione, L’esistenza delle formiche, è la graphic novel omaggio a Tiziano Terzani. Una figura molto importante del nostro tempo e di grande spessore culturale. Come hai deciso di affrontare la traduzione per immagini di un così complesso autore?

Quando BeccoGiallo mi ha proposto di lavorare sulla sua vita, di plasmare le sue vicende in qualcosa che somigliasse al precedente (Ci sono notti che non accadono mai, l’omaggio per Alda Merini), ho avuto non poche difficoltà. Raccontare la sua vita, voleva dire comprendere molto meglio alcuni passaggi storici che personalmente non avevo quasi mai approfondito. Uso una  parola banale per dire che sono stata “fortunata” a ricevere questa proposta, perché è stato un arricchimento notevole. Ho amalgamato il conosciuto con lo sconosciuto arrivando a volte a capire meglio certi avvenimenti della nostra storia recente, come le guerre in Medio Oriente.

Al tempo stesso nel momento della stesura del racconto, non volevo che sembrasse una Garzantina della seconda metà del ‘900 – asiatico per lo più – e mi sono quindi aggrappata letteralmente al lavoro precedente, usando lo stesso modus operandi: pescare qua e là dai suoi libri in modo cronologico per ripercorrere la sua storia. Ho cercato di restituire le atmosfere nelle quali si muoveva, anche se non avendo mai visto o vissuto in certi posti a volte è stato un po’ strano.

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Il titolo dell’opera trae ispirazione da una teoria, che cita Terzani quando ne La fine è il mio inizio parlando della sua esperienza in Asia, dice che “se diventi esperto di formiche, arrivi a capire il mondo”. Ce ne puoi parlare?

Questo titolo è una buona scelta, perché mette d’accordo i vari lettori di Terzani. Si riferisce a quell’attenzione per i dettagli che visti nel loro insieme ti fanno capire come gira una situazione, una giostra o una parte di mondo.

Al proposito c’è un articolo molto bello pubblicato dal Corriere della Sera nel ’97 e raccolto alla fine di In Asia, in cui parla dell’Orsigna, il paese sull’Appennino pistoiese, al quale è stato da sempre molto legato e dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Riporta un proverbio cinese molto corto che recita “guardare i fiori dal dorso di un cavallo”, e poi continua: ..in venticinque anni d’Asia, ho visto tanti fiori, a volte straordinari, ma dall’alto di un cavallo, sempre di corsa, sempre a distanza, senza troppo tempo per soffermarmici. Gli orsignani hanno visto pochi fiori, forse piccoli, ma ci sono stati accanto, li hanno visti sbocciare, crescere, morire. E di quello straordinario ciclo della vita sono diventati esperti. E liberi, anche dalla morte.

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Se per la tua prima pubblicazione su Alda Merini hai scelto di tradurre soltanto con l’uso delle matite, qui hai dato spazio anche alla xilografia per le illustrazioni in apertura del libro. Come mai questa scelta?

Perché la xilografia è come la guerra non accetta sfumature. Ho pensato più volte ai possibili paralleli con le tecniche e alla fine ho optato per questa, pensando ai grandi xilografi del ‘900 che ammiro come Lorenzo Viani o Käthe Kollwitz.

Le illustrazioni realizzate con questa tecnica così antica ma, come possiamo vedere, altrettanto attuale dal punto di vista espressivo, sono di una potenza e lirismo che parlano “direttamente al cuore” e arrivano, come dice Terzani per la Cambogia, “al petto senza dover passare per la testa”. Ci puoi parlare della storia del tuo approccio con la xilografia?

Avevo già provato la tecnica tra le aule dell’accademia, ma ho sperimentato di più quando ho frequentato i laboratori della stamperia fiorentina Il Bisonte, dove ho partecipato ad un seminario intensivo in cui abbiamo capito le varie possibilità che la tecnica offre, sovrapposizioni, intagli più o meno delicati, differenze e difficoltà del supporto (anche se sempre di legno si tratta che sia di testa o di filo). In più devo aggiungere che è fondamentale l’energia con cui ci affidiamo a questa tecnica quando facciamo lavori di gruppo con le “colleghe” (Viola Niccolai, Alice Milani e Francesca Lanzarini) de la Trama.

Noto che nel tuo fumetto, paradossalmente l’uso della classica nuvoletta è quasi inesistente. Ci vuoi parlare di questa scelta narrativa?

Il fatto di non usare il classico ballon non è esattamente una scelta, è più qualcosa che mi esce in modo spontaneo. Per me il testo è parte integrante del disegno, infatti faccio fatica a non scrivere direttamente i dialoghi sulla tavola già disegnata. Quando è possibile cerco di assecondare i vari metodi narrativi che utilizzo perché so che forzandomi il risultato sarebbe più rigido.

Che cosa ti ha lasciato questa esperienza diretta con l’opera di Tiziano Terzani?

Mi ha lasciato una grande vitalità, ha confermato la forte voglia di continuare a viaggiare, ma soprattutto quello che più mi ha colpita è l’umiltà che aveva e che ha mantenuto nonostante la sua vita così densa di avvenimenti, risultati e riconoscimenti. Un’altra cosa a cui penso spesso in merito, anche se non penso di aver maturato, è la sua capacità di mettere insieme gli elementi e dare una visione di insieme, una qualità molto rara.

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Pubblicato il: 19 marzo 2014

Argomenti: Cultura, Pisa

Visto da: 2007 persone

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