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La Rinascita, le vogate e i paperi di San Francesco

canottieri

Visto che l’attualità legata alle precipitazioni meteorologiche ha portato a rivolgerci tutti verso il deflusso dell’Arno attraverso la nostra città, questa settimana vorrei raccontarvi qualche ricordo personale legato al canottaggio o meglio alla voga a sedile fisso, tipica della regata storica (vedi box) del palio di San Ranieri e delle Repubbliche marinare.

Per la regata del Patrono di Pisa la città è divisa in quattro quartieri: Sant’Antonio, che ha la barca di colore verde, in testa con 24 successi dal 1934, anno in cui ripresero le regate, Santa Maria con la barca azzurra, che segue a una sola lunghezza con 23 successi, poi San Martino, con la barca rossa e 11 successi e infine San Francesco, barca gialla, con solo 6 successi e abituato a prendersi i paperi che spettano di diritto all’ultima classificata.

Indovinate di che quartiere sono io? Ovviamente quello dei paperi e in gioventù preso da virile ardimento, insieme a un gruppetto di miei compagni assidui frequentatori di quella “palestra di vita” che rispondeva al nome di Circolo Rinascita, sito all’epoca in Piazza Federico del Rosso e oggi aimé tristemente traslocato, decidemmo di cimentarci con qualcosa che non avesse a che fare con una sfera di cuoio e due porte, visto che la barca veniva in quel periodo allocata, da primavera in poi, proprio sotto la spalletta prospicente alla sede del circolo, vicino al Ponte della Fortezza.

Gli allenamenti erano durissimi, duravano un paio d’ore, e si svolgevano sul barcone di legno del Palio, pesantissimo, che prevede la voga a sedile fisso, non come nel canottaggio dove il sedile scorre sotto il sedere del vogatore. Vogare in Arno è, a parer mio, bellissimo perché offre un punto di vista sulla città completamente diverso, ponendoti in una condizione spazio temporale diversa rispetto al flusso della vita che scorre al di là delle spallette. Soprattutto i primi tempi uno dei richiami più energici degli allenatori era infatti “occhi in barca” perché ovviamente noi farfalloni guardavamo spesso in alto per vedere se qualcuno ci guardava, convinti di esser parecchio ganzi a cimentarci con la voga. Una delle prime cose che imparammo ed apprezzammo fu dunque quella di distaccarci dal sopra e concentrarci sulla barca che scorreva sul pelo dell’acqua e sull’ambiente fiume che improvvisamente ci si rivelava in tutta la sua sorprendente bellezza (a parte un po’ d’inquinamento e qualche topastro nuotatore).

Il primo anno facemmo una gara preparatoria al palio, al ponte del CEP, dove dopo appena 20 secondi dal via avevamo già tre imbarcazioni di distacco rispetto agli altri tre quartieri: eravamo dunque perfettamente in sincronia con la tradizione del nostro quartiere. Nonostante queste dèbacle, che proseguirono anche il secondo anno, prima che la pigrizia universitaria avesse il sopravvento sul mio ardimento sportivo extracalcistico, sono sempre rimasto convinto che vogare fosse davvero ganzo, sano e forse molto più intelligente da un punto di vista sportivo.

Le imbarcazioni impiegate si ispirano alle tipiche fregate “stefaniane” dell’Ordine Mediceo dei Cavalieri di Santo Stefano. Ogni equipaggio è composto da otto vogatori, un timoniere ed un montatore. Quest’ultimo deve arrampicarsi su un pennone alto dieci metri, posto al traguardo su di una piattaforma galleggiante, e recuperare il “paliotto” della vittoria, ossia la bandierina corrispondente al primo (blu), secondo e terzo classificato. Questa particolare modalità di assegnazione della vittoria si ispira all’impresa di Lepanto del 1571 quando le truppe cristiane, una volta abbordata l’ammiraglia turca, si impadronirono della fiamma da combattimento posta sul pennone dell’imbarcazione musulmana.
Foto di run4unity

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Pubblicato il: 2 febbraio 2014

Argomenti: Pisa, Sociale, Sport

Visto da: 974 persone

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