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diSbieqo “Tutta colpa di Freud”

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Questa volta l’entusiasmo che ci pervade è scarso. “Tutta colpa di Freud” voleva, forse, essere un bel film, una brillante commedia nel perfetto stile Genovese – con quel gusto un po’ amaro, dopotutto – ma non spicca quel salto qualitativo che gli consentirebbe di non cadere in una commedia leggera e piena di stereotipi datati.
La cosa che però colpisce è che il regista avesse un obiettivo ben preciso – infatti dichiara: «Volevo dar vita a una commedia sentimentale al femminile» – ed è proprio dalla storpiatura emotiva e poco centrata del “vero femminile” che il film si boicotta da solo, dall’interno.
L’apertura fa ben sperare, un buon gioco di piani sequenza che braccano i tre personaggi femminili, montati alternativamente, con la voce extradiegetica delle tre sorelle che si dà staffetta. Ma l’inizio promette soltanto.

Al centro della storia un analista, Francesco Tamarelli interpretato da Marco Giallini – ricordandolo in “Non ti muovere”, di ben altro spessore – qua ci appare quasi caricaturale, con occhiali e barba freudiane, nelle sue lunghe discussioni, pervase da un leggero ma ubiquo linguaggio psicoanalitico, deontologicamente scorrette. Bene, questo padre-analista, ha tre figlie: Marta (Vittoria Puccini), che ha una bellissima libreria nei pressi di Campo de’ Fiori e che lascia pezzi di cuore su uomini eternamente sbagliati; Sara (Anna Foglietta), al ritorno da New York per un amore lesbico andato in frantumi; ed Emma, la più piccola, diciottenne ancora studentessa che ha una relazione con il Peter Pan interpretato da Alessandro Gassman.

Questo lo scheletro essenziale della storia. Le tre sorelle, da punti di vista diversi, da età diverse, da storie diverse, dovrebbero – attraverso questo padre-madre perfetto, analista padre e padre analista – disquisire sull’amore, illuminarci sulle sue dinamiche, e dare un sapore di “femminile” al film . Questo, solo perché si parla di maschile (?) e si stereotipano gli uomini in categorie? – per l’esattezza: 1. Gli “insoddisfatti”; 2. I “Peter Pan” (appunto); 3. I “Vorrei ma non posso”; 4. I “Buoni, belli e intelligenti ma con una madre ingombrante” – salvandone un cinque per cento (se si trova).

Troppo banale per risultare intelligente, troppo pretenzioso per risultare solo banale.
La cosa più sconcertante è il personaggio di Marta, con il suo coming out all’inverso, che va a banalizzare il concetto di orientamento sessuale e identità di genere (“E se mi facessi piacere gli uomini? Forse andrebbe meglio?”), che sbriciola il personaggio – da forte e androgina emulante il maschile (deteriore) – a creatura fragile che crolla fino al tentativo grottesco di suicidio – e ridicolo con il salvataggio della bella vigile del fuoco.
Ogni pezzetto di storia sembra trascinarsi sul binario del cliché, così la libraia – che però cita il best seller di Erika Leonard come libro “invendibile” in una vera libreria – si innamora del ragazzo sordomuto – unica parte che sembra ben interpretata, da Vinicio Marchioni, pur nella bruttura del personaggio, ladro, scorbutico, aggressivo.

Ma insomma, le donne, di certo, non fanno proprio una bella figura in questo film, personaggi banalizzati, vittime drammatiche di una castrazione mancata, di un’invidia del pene: perché altrimenti questo titolo, omonimo alla title-track di Daniele Silvestri? Perché Freud ha meno colpe di chi ha scritto copione e sceneggiatura – il regista con Paola Mammini e Leonardo Pieraccioni – che non riesce a dar vita a nessun personaggio femminile di spessore, che riesca a determinarsi e, in qualche modo, a superare le sovrastrutture culturali dettate da uno sguardo prettamente maschile. Che dire, altrimenti, di continui riferimenti all’essere “leggere”, a non “dover prendere iniziativa” (soprattutto nel sesso), all’accettare, in vista della normalità quotidiana sessista, i tradimenti di un marito che si scopa la ragazzina-Lolita? Eh no, non ci piace tutto questo, anche se la Gerini regge abbastanza bene la parte di donna svuotata – o vuota? – che riversa su un cane le sue frustrazioni affettive e che non sceglie mai?

Una fugace apparizione di Gianmarco Tognazzi nella parte di un pretendente gretto, strappa una delle poche risate (almeno mie) del film. Le altre battute, dal sapore da show televisivo, sono poco persuasive, non lasciano nemmeno il tempo di una vera risata.
L’amore, “malattia diffusa”, non ha granché d’amore. Non se ne esce con un senso di ottimismo e di fresco, ma solo di vuoto e di malinconia, pur nell’indecisione delle ultime scene che non lascia nemmeno troppo spazio a un finale certo. La musica, Silvestri incluso, è strabordante, esuberante, chiassosa.
Una commedia di storie intense che si banalizzano nel dipanarsi, che si perdono nella mediocrità da luogo comune e nel finto “vogliamo essere alternativi a tutti i costi”.

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Pubblicato il: 29 gennaio 2014

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 1683 persone

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Una risposta a: diSbieqo “Tutta colpa di Freud”

  1. avatar Arianna scrive:

    ok, questo non lo vado a vedere e allora cosa guardiamo in attesa della prossima recensione?

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